Tutela fragile per donne e bambini, ferite profonde

by azione azione
3 Novembre 2025

La Svizzera non fa abbastanza contro la violenza domestica: mancano soldi, strutture di aiuto e una strategia globale

Bocciata, senza se e senza ma. Ma con la possibilità di andare agli esami di riparazione. La Svizzera deve fare i conti con una pagella colma di insufficienze per quello che fa, o meglio che non fa, nella lotta contro la violenza domestica e contro i femminicidi. Alcune delle note di questa pagella sono da profondo rosso, vanno dal 3 all’1 e mezzo. Un verdetto emesso dalla Rete della Convenzione di Istanbul, un’organizzazione chiamata a valutare il modo in cui Berna applica i principi di questa Convenzione, elaborata dal Consiglio d’Europa per contrastare questo tipo di violenze. Adottato dalla Svizzera nel 2018, questo accordo internazionale impegna le autorità del nostro Paese a elaborare norme, misure e piani di azione, in particolare per la protezione delle donne e dei bambini e più in generale contro ogni tipo di violenza legata al genere di una persona.

La Convenzione di Istanbul

Il rapporto di questa Rete è stato pubblicato la settimana scorsa e definisce «preoccupante» quanto capita nel nostro Paese in questo ambito, basti pensare che ogni due settimane una donna viene uccisa da un uomo, mentre per quanto riguarda i tentativi di femminicidio si registra una inquietante costanza settimanale, un caso ogni sette giorni. Nel corso del 2025 sono stati finora 25 i casi di femminicidio registrati. Un quadro molto triste che era già emerso negli anni scorsi e che viene confermato anche dagli studi condotti dall’Ufficio federale per l’uguaglianza tra uomo e donna. L’analisi sull’operato del nostro Paese, stilata dalla Rete della Convenzione di Istanbul, viene chiamata «Rapporto parallelo» ed è realizzata dal lavoro congiunto delle tante organizzazioni non governative.

Uno studio che va ad aggiungersi, da qui il termine «parallelo», alle analisi elaborate dalle diverse amministrazioni pubbliche del nostro Paese e dalle polizie cantonali. Dando un’occhiata alla pagella, va subito detto che le nostre autorità devono fare i conti con un 3 secco per quanto riguarda, ad esempio, l’applicazione di una delle raccomandazioni della Convezione di Istanbul, che chiedeva, e chiede ancora, la realizzazione di un piano d’azione nazionale e una strategia coordinata contro tutte le forme di violenza legate al genere. Il 3 in pagella è dovuto anche alla struttura federalista del nostro Paese e a una forte differenza tra i diversi Cantoni elvetici nel lottare contro questo fenomeno. A complicare ancor di più le cose c’è anche la presenza di un «numero elevato di interlocutori diversi». Sulla pagella della Rete è finito anche il modo con il quale si procede alla valutazione delle diverse misure messe in atto in questo ambito. Un riesame costante che soffre però di una lacuna maggiore: mancano uno sguardo di insieme e una strategia globale. E qui la nota assegnata è ancora più bassa: 2 e mezzo. Va persino peggio, si passa a un 2 decisamente insindacabile, se si mette la lente sugli aspetti finanziari, sui mezzi messi a disposizione per combattere i femminicidi e la violenza di genere.

Una mancanza di fondi che causa, ad esempio, un problema nell’ambito dell’accoglienza delle donne, e anche dei bambini, che si ritrovano in una situazione di pericolo. Per il Consiglio d’Europa ogni Paese che ha firmato la Convenzione di Istanbul dovrebbe disporre di una camera-famiglia ogni diecimila abitanti. In Svizzera mancano circa 800 strutture di questo tipo. In altri termini il nostro Paese dispone solo di un quarto delle camere-famiglia di cui avrebbe bisogno. Da qui, appunto, il 2 secco, che si trasforma in un 1 e mezzo se si guarda alle tante carenze nell’ambito della protezione dei bambini, coinvolti e vittime di violenza domestica. Il rapporto definisce «casuale» la protezione dei più piccoli, manca dunque una rete strutturata non soltanto nella presa a carico ma anche nella prevenzione di questo tipo di maltrattamenti.

Ancora nessun numero unico da chiamare

La settimana scorsa, nel commentare lo studio realizzato dalla Rete della Convenzione di Istanbul, il Consiglio federale ha ribadito che «la lotta contro la violenza domestica e la violenza contro le donne è una priorità». In tal senso va ricordato che lo scorso 22 ottobre lo stesso Governo aveva presentato una revisione della legge federale che riguarda l’aiuto alle vittime, con l’obiettivo di migliorare la loro presa a carico medica e di accrescere le offerte di alloggio. Per il Consiglio federale occorre anche sviluppare nuove misure di prevenzione attraverso campagne di sensibilizzazione rivolte a tutta la popolazione. Proprio in questo senso il prossimo 11 novembre scatterà una campagna nazionale pluriennale per contrastare la violenza domestica, sessuale e di genere. Una giornata patrocinata dalla Consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider e sostenuta da un’ampia rete di organizzazioni non-governative. A fronte della pagella poco lusinghiera stilata dalla Rete della Convezione di Istanbul, il nostro Paese può comunque far valere anche alcune modifiche di legge, adottate di recente, e che mirano ad arginare il fenomeno.

Proprio nel giugno scorso il Parlamento ha deciso di inserire lo stalking nel Codice penale e di considerarlo un reato a tutti gli effetti. Perseguitare, molestare o minacciare una persona, nella vita reale o in quella virtuale, può dunque portare a una denuncia e al perseguimento penale. Nel settembre scorso, sempre il Parlamento, ha inserito il principio dell’educazione non violenta dei figli nel Codice civile, al bando dunque sculacciate, schiaffi e offese verbali. E qui va detto che uno studio condotto dall’Università di Friburgo, nel 2023, aveva messo in evidenza che nel nostro Paese un bambino su cinque subisce costantemente violenza psichica e che il 15% dei genitori ha ammesso di aver strattonato o colpito il proprio figlio. In conclusione va comunque ricordato che nel nostro Paese manca ancora un numero unico da chiamare in caso di violenza di genere o domestica. Il numero in verità esiste, è il 142, ma non è ancora attivo. Se ne parla da ben quattro anni, su iniziativa della Confederazione. Una sua attivazione era prevista per l’inizio di questo mese di novembre, ma slitterà alla primavera dell’anno prossimo, per motivi sostanzialmente tecnici e di coordinamento tra operatori telefonici e autorità. Al momento anche il 142 va ad aggiungersi alle tante note insufficienti assegnate alla Svizzera per quanto fa in difesa, in particolare, delle donne.