Ippodromo di San Siro

by azione azione
3 Novembre 2025

Squilibrati scritto con cura estrema e precisione, in maiuscolo, mi colpisce come nome di un gruppo ultras interista sulle mura lungo viale Caprilli. Il viale costeggiato da platani che affianca l’ippodromo e porta anche allo stadio omonimo lì a fianco, è dedicato al cavaliere Federico Caprilli (1868-1907). Oro olimpico e rubacuori, rivoluziona l’equitazione con un sistema basato su naturalezza e spontaneità. Percorrendolo a passo spedito per arrivare in tempo all’inizio dello storico Gran Premio del Jockey Club alle 16:55, sento, attutito, come preludio, il suono del galoppo. A partire da subito, tra entrata scenografica, alberi secolari, filari di archi dechirichiani a tutto sesto, gente molto elegante e alcuni molto meno, facce di scommettitori accaniti, caldarroste, le aspettative di un lettore di Hemingway non sono deluse. «San Siro era l’ippodromo più bello che io avessi mai visto» confessa il protagonista – figlio di un fantino e pazzo per i cavalli come lui – del diciannovesimo tra I quarantanove racconti (1938) di Hemingway.

Dietro il marronat c’è l’angolo oscuro degli scommettitori dostoevskiani che sembrano rimasti agli anni Settanta: prede di tabagismo e Fernet. Punto, più per simpatia che ambizione, su Flag’s up, purosangue baio di sette anni che è l’unico che ho studiato ieri sera, però prima c’è un’altra corsa. Prendo un caffè al bar del Tondino. Al bancone alcuni sboroni brindano fuori orario alle vincite future e lo speaker con bianchino e paglione ripassa i nomi dei cavalli. Gli chiedo di Flag’s up e dice che «è un eroe, farei salti di gioia se vincesse» ma è fuori dai giochi. Secondo lui in forma sono Alleno e Lazio ed «Eydon anche è forte, dicono».

Al Tondino, dove sono appena sfilati i cavalli che mi sono perso, trovo un personaggio uscito da una canzone di Jannacci. Al volo so già che è lui, al di là di tutto, il mio cavallo vincente per il reportage all’ippodromo. Fogli in mano, studia la prossima corsa delle 16:15, cerchia i nomi dei cavalli, spara la litania di pesi dei fantini, anni dei cavalli, nomi degli allenatori. «Dunlop, Dunlop» ripete più volte. Per me Dunlop sono le racchette di tennis. Lui intende l’allenatore di un cavallo di nome Call me Angel. «Dunlop è il migliore». Punto all’ultimo su Call me Angel, il numero cinque. Non faccio in tempo a trovare un posto in tribuna che sono partiti, rimango lì, al Tondino aspettando l’arrivo. E Call me Angel nel rush finale galoppa a più non posso e io alzo le mani e grido dai dai dai e vince Call me Angel. Ma la più grande scoperta ed epicentro di tutto l’ippodromo è la Palazzina del Peso, liberty ma non troppo, anni Venti, architetto: Paolo Vietti-Violi (1882-1965). Ci vorrebbe giacca e cravatta e uno lì all’entrata controlla. Con noncuranza e grazie a una vecchia beaufort sdrucita verde salvia con cui ho raccolto migliaia di spugnole passo agile perché tipica anche del mondo ippico.

La sala del peso è uno spettacolo: divani in pelle verde Lorenzo Lotto dove sprofondare, pavimento alla veneziana color vinaccia, ma soprattutto il rito teatralissimo del peso dei fantini. Esseri assurdi tra giullari ed elfi, casacche da carnevale, gli occhi da pazzi, altro che squilibrati ultrà. Come il fantino di Call me Angel che ora è lì, sulla bilancia ultracentenaria con sella in mano. Ritrovo il mio personaggio e mi felicito con lui. Per la prossima corsa, quando faccio il nome di Flag’s up mi guarda come per dire. Poi dice solo, per tre volte, «Eydon». Senza pensarci troppo, con la naturalezza del metodo Caprilli, punto su Eydon e salgo a balzi su per la scala eburnea con corrimano in ciliegio e vecchie glorie incorniciate. Fuori trovo un posto perfetto, rimango in piedi, ed ecco che capisco, con davanti la pista eccetera, le emozioni dei momenti appena prima la partenza quando quasi ci si sente male come scriveva Hemingway. «Specie a San Siro, con quel gran campo verde e i monti in lontananza». In questa bella domenica di ottobre nessun monte si vede ma sulla destra spunta solo la triade di grattacieli-fuffa di CityLife. Vivo però ora esattamente le sensazioni di quello che lessi secoli fa. Eydon, in testa per tutta la corsa, alla galoppata finale è ultraterreno e io ho le mani levate al cielo. Festeggio con una cedrata. Gloria breve. The Great Brozo, consigliato dal mio amico esperto con la cravatta di lana, la corsa dopo, si rivela un grande brocco.