C’è chi pensa che pistole e fucili militari in casa rappresentino un rischio concreto (da evitare) e chi ritiene che le cause della brutalità vadano cercate altrove. La mozione della zurighese Priska Seiler Graf
È un anno orribile il 2025 e purtroppo non è il primo in Svizzera: le vittime di femminicidio sono oltre 20 (ne parliamo nel mese dedicato alla lotta contro la violenza domestica e di genere). Una situazione che a giugno aveva spinto Confederazione, Cantoni e Comuni a prendere misure straordinarie e urgenti, fra le quali colmare le carenze di posti nelle case rifugio e rafforzare la prevenzione attraverso la formazione dei professionisti. Intanto, in Consiglio Nazionale, la socialista zurighese Priska Seiler Graf depositava una mozione dal titolo: «Rafforzare la prevenzione degli omicidi con armi da fuoco in ambito domestico». Il testo chiede di confiscare tutte le armi militari ritirate dopo l’obbligo di servizio se i proprietari, da oltre dieci anni, non le utilizzano per il tiro sportivo.
Le vittime erano donne nel 70% dei casi
A fine estate, qualche giorno dopo il triplice femminicidio di Corcelles (quando un uomo ha ucciso la sua ex moglie e le due figlie), il Consiglio federale si esprime favorevolmente sulla mozione. Ma cosa c’entrano le armi militari con i femminicidi? La risposta è in uno studio pubblicato qualche mese prima, a febbraio 2025. La ricerca – commissionata dall’Ufficio federale per l’uguaglianza fra uomo e donna ed elaborata dall’Università di San Gallo – parte da una constatazione: negli ultimi 30 anni gli omicidi in Svizzera sono calati e lo sono ancora di più quelli commessi con armi da fuoco. Una tendenza che non si riscontra però con la stessa rilevanza negli omicidi commessi in ambito domestico, fra le mura di casa. Dal 2015 al 2022 questi omicidi sono stati 122, 41 dei quali commessi con un’arma da fuoco. Nel 70% dei casi le vittime erano donne. A premere il grilletto, quasi sempre, un uomo svizzero: il partner o l’ex, con un’età media superiore ai 63 anni.
Il legame fra le armi che hanno ucciso e quelle militari a dire il vero non è semplice da stabilire. Molti dossier, infatti, sono lacunosi: in ben 27 casi su 41 non è indicata l’origine dell’arma, ma laddove questa informazione esiste quelle militari rappresentano il 35,6 per cento. Le autrici dello studio ritengono però che, considerata l’età piuttosto elevata dei colpevoli e la loro nazionalità svizzera, si possa presupporre che le armi tenute dai soldati alla fine del servizio (un tempo molto numerose) possano giocare un ruolo importante in questo genere di omicidi. E così si invita a considerarle come un fattore di rischio. Siccome, poi, nei casi di omicidio con arma da fuoco in ambito domestico i segnali d’allarme sono spesso impercettibili, la raccomandazione è quella di confiscare le armi dal primissimo sospetto.
Come abbiamo visto la mozione Seiler Graf si spinge invece più in là , perché «non è compito dell’esercito lasciare agli uomini svizzeri l’arma per commettere omicidi in ambito domestico», scrive la consigliera nazionale. In Parlamento la proposta di ritiro dopo 10 anni delle armi inutilizzate avrebbe dovuta essere trattata a fine settembre, ma è stata rinviata. A combatterla ci sarà comunque certamente Lorenzo Quadri, che in un atto parlamentare si indigna del sostegno del Governo alla mozione: «Così facendo il Consiglio federale cede alla propaganda della sinistra che mira a smantellare l’esercito di milizia con la notoria tattica del salame; l’argomento della prevenzione della violenza domestica è infatti pretestuoso». Il consigliere nazionale, ponendo una serie di domande al Governo, propone invece di affrontare il tema della criminalità straniera, citando dati secondo cui gli stranieri sarebbero sovra-rappresentati tra gli autori di omicidi. E poi «il Consiglio federale immagina veramente che chi intende compiere atti violenti contro se stesso o contro terzi non troverebbe un’alternativa all’arma d’ordinanza?».
Disaffezione dei militi
Il dibattito, insomma, resta acceso tra chi vede nella disponibilità di armi un rischio concreto e chi ritiene che le cause della violenza vadano cercate altrove. Stando ai dati dello studio dell’Università di San Gallo – abbandoniamo però qui l’ambito degli omicidi con arma da fuoco – per quanto riguarda invece la limitazione alle libertà del cittadino-soldato, i dati segnalano già ora una disaffezione dei militi nei confronti della loro arma d’ordinanza. Se nel 2004 erano ancora il 43% a conservarla dopo l’obbligo di prestare servizio, nel 2018 questa percentuale era già scesa al 13%. La passione degli svizzeri per le armi, al contrario, non sembra in calo: in dieci anni le autorizzazioni di acquisto sono aumentate di una volta e mezza. Armi acquistate da collezionisti e tiratori, che non ricadrebbero sotto la fattispecie della mozione. Anche il brigadiere Stefano Laffranchini, su «LaDomenica», ha sottolineato: «Se si restringesse il possesso delle armi a queste due categorie (collezionisti e tiratori), che tendenzialmente hanno anche una maggiore perizia e attenzione nella custodia degli strumenti di fuoco, si limiterebbero già ragionevolmente la diffusione delle armi sul territorio e i rischi ad esse connessi».
In attesa del dibattito parlamentare, quello pubblico è ormai lanciato. La speranza è che anche partendo da posizioni diverse si giunga a soluzioni condivise per spezzare quella vergognosa catena di violenza domestica, che anno dopo anno aggiunge donne uccise ad altre donne uccise. Donne uccise solo perché donne. Questo è il femminicidio. L’11 novembre 2025 l’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo lancerà una campagna nazionale di prevenzione contro la violenza domestica, sessuale e di genere. Patrocinata dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, è stata sviluppata insieme a un’ampia alleanza di organizzazioni governative e non governative.
