Geoffrey Hayes, Solo con sé stesso, orecchio acerbo (Da 4 anni)
Ha una grazia delicata e poetica, questa storia di un orsetto che sa stare solo con sé stesso, apprezzando ogni istante delle sue giornate e cogliendone sensazioni, ricordi, sogni. «Ci sono momenti in cui un orsetto deve stare solo con sé stesso, / per pensare ai propri pensieri / e per cantare le proprie canzoni». Limpido, nella sua sintesi, questo incipit che intona lento il ritmo delle prime tre pagine, con le prime tre illustrazioni, tre quadretti posati leggeri sul bianco della pagina, «frammenti illustrati», come scrive l’editore nella bella postfazione, in cui viene presentato l’autore, l’americano Geoffrey Hayes (1947-2017), illustratore e fumettista, che seppe cogliere e raccontare con sensibilità le emozioni dei bambini. Lo fece in oltre cinquanta opere per l’infanzia, su cui svetta questa incantevole Bear by Himself, che uscì per la prima volta nel 1976 e che ora, grazie alla consueta sensibilità dell’editore orecchio acerbo nel recuperare tesori preziosi dal passato, viene finalmente proposta anche ai lettori di lingua italiana.

Orsetto, dunque, sa stare solo con sé stesso, e non come ripiego, ma come consapevole e saggia scelta, per ricentrarsi e ritrovarsi, e per ritrovare la bellezza del mondo. Saper stare soli è essenziale, ovviamente non sempre, ma «ci sono momenti in cui…». E questi momenti non sono di solitudine vuota e fredda di fronte a uno schermo, ma sono pieni del calore e del vitale dialogo con la natura, attraverso tutti i sensi («sentire l’odore della pioggia», «chiacchierare con il fiume», «guardare il vento»…), sono proprio un risiedere gioiosamente negli istanti. Istanti quotidiani, dei quali ogni bambino fa esperienza e di cui può cogliere la meraviglia, se preservata dal frastuono del mondo.
Ilaria Mattioni, La figlia del gigante, Feltrinelli (Da 11 anni)
Sin dal titolo siamo immersi nella prospettiva della giovane protagonista, la dodicenne Layana, contessina di Valmarana, che si ritiene figlia di un gigante, vista la statura immensa del padre, a confronto con la sua e con quella di tutti coloro che le stanno attorno (dama di compagnia, balia, precettore, maestro di ballo, eccetera). Tuttavia – e mi spiace svelarlo, ma non credo ci sia altro modo di darvi un’idea di questo romanzo, e del resto il colpo di scena avviene nelle prime pagine – Layana vive in una bolla creata su misura per lei dal padre, per proteggerla dal trauma di sentirsi diversa e dal possibile scherno del mondo: Layana è affetta da nanismo, ma non lo sa, perché tutti i suoi servitori sono nani come lei, e le è stato impedito di uscire dai confini del parco della Villa. Non è lei, dunque, a essere figlia di un gigante, ma è suo padre, questo padre che per un malinteso senso di amore la tiene segregata, ad avere una figlia nana.

Il romanzo, vincitore quest’anno del Premio Campiello Junior, è stato ispirato all’autrice da una leggenda legata a Villa Valmarana ai Nani, situata alle porte di Vicenza. Si narra infatti di una fanciulla affetta da nanismo che era stata confinata dai genitori all’interno dei suoi possedimenti, con dei nani al suo servizio. Finché un giorno un principe riuscì a entrare nel parco della Villa, infrangendo l’isolamento della ragazza e costringendola a prendere coscienza della sua «diversità»; disperata, la giovane si gettò da una torre, e i fedeli servitori nani si pietrificarono dal dolore: ancor oggi, diciassette statue di nani sono visibili sul muro di cinta di Villa Valmarana. Mattioni sceglie però un altro finale per il suo romanzo, creando una protagonista forte e volitiva, che dopo lo sgomento e la rabbia per essere stata vittima di un terribile inganno, cercherà con coraggio la propria strada nel mondo, quel mondo da cui il padre voleva tutelarla, e che lei invece affronterà a testa alta, consapevole della sua meravigliosa unicità, come quella che contraddistingue chiunque: «Non sono normale e non sono speciale. Sono soltanto io, Layana. Di Valmarana. Contessina. E ne sono felice». Layana, come in ogni romanzo di formazione, dovrà lasciare il suo contesto protetto, e in un avvicendarsi di avventure rocambolesche (fughe, rapimenti, salvataggi) fronteggerà il mondo là fuori, a tratti accompagnata da altri ragazzi considerati come lei «mostruosi» e che invece ritroveranno, insieme a lei, la consapevolezza della propria dignità di creature uniche e «meravigliose». Non manca un accenno di romanticismo, con la figura di Giuseppe Tiepolo, immaginario giovane parente dei pittori Giambattista e Giandomenico Tiepolo che nel Settecento affrescarono (davvero) la Villa.
