Dal maschio alfa che torna di moda alla nuova mascolinità positiva, ne parliamo con Andrea Siclari di Männer.ch
Un uomo dominante, che non chiede mai e non si espone. Sicuro di sé, ha pieno controllo sulle emozioni, fisicamente forte e sessualmente desiderabile. Un uomo competitivo. Ricco, o che costruisce ricchezza, e vive con una donna appariscente chiusa in casa a cucinare e accudire marmocchi. Ecco il «maschio alfa» che sta tornando di moda. Più in generale, riprendono vigore a livello globale visioni misogine e modelli patriarcali, osserva un approfondimento diffuso da SRF (Il ritorno dei macho sulla RSI). Vedi seguaci del controverso Andrew Tate, ex campione di kickboxing e influencer che promuove appunto concetti come alpha male (in opposizione al beta male ovvero l’uomo gentile, emotivo quindi debole), red pill (la pillola rossa di Matrix, simbolo del «risveglio» alla presunta verità secondo cui il mondo è pervaso da ideologie femministe che penalizzano gli uomini) e la supremazia maschile nelle relazioni. Queste tesi si diffondono tra adolescenti e giovani adulti soprattutto grazie al web: Tate sfrutta infatti canali quali TikTok, YouTube e Telegram. Ma la rete pericolosa che amplifica misoginia e violenza – la cosiddetta «androsfera» (da manosphere) – adopera anche altri canali e ha un’infinità di protagonisti, di adepti. Due esempi tratti dalla cronaca recente: il gruppo Facebook «Mia moglie», con oltre 30 mila iscritti, che raccoglieva foto intime di donne, spesso pubblicate senza consenso da partner o ex, seguite da commenti sessisti e «Phica.eu», sito hard dove venivano pubblicate immagini di donne, anche famose, senza consenso.
La dinamica da spogliatoio
Come si spiegano questi fenomeni? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Siclari, antenna nella Svizzera italiana di Männer.ch, un’organizzazione svizzera che si occupa di temi legati alla mascolinità consapevole e alla parità di genere in chiave maschile (leggi box in basso). «Molti uomini, da soli, non esprimono visioni misogine e violente. Ma nel gruppo si attiva la cosiddetta “dinamica da spogliatoio”: il linguaggio si fa sessista o volgare, si dicono cose che non si pensano, si ride quando non si dovrebbe…». La mascolinità tossica non nasce sempre dall’odio, osserva l’intervistato. A volte arriva dal bisogno di appartenenza, dalla paura di essere esclusi, dal timore di sembrare deboli. E allora si recita: il ruolo del duro, del conquistatore-predatore, dell’uomo che non prova emozioni, che disprezza il femminile. Ogni battuta, ogni commento costruisce un mondo dove la donna è contorno, oggetto, proprietà.
C’è poi un altro aspetto da considerare: «In questo periodo storico i ragazzi sono confusi – dice Siclari – si sentono frustrati e sotto pressione. È come per le donne: una volta ci si aspettava restassero a casa e basta, oggi sono chiamate a fare tutto. Per l’uomo vale lo stesso: deve continuare a fare carriera e soldi, però essere anche un padre presente, un compagno attento e premuroso, essere attivo socialmente ecc. Questo crea un forte stress: non pochi giovani reagiscono auspicando un ritorno al passato quando, secondo loro, le cose erano più chiare e facili». Per il nostro interlocutore è importante riconoscere il disagio e aprire subito un dialogo, anche se difficile: «Servono educazione emotiva, spazi dove gli uomini possano parlare senza dover recitare e modelli alternativi di mascolinità: empatica, responsabile, capace di relazione. Ci vuole qualcuno che dica “basta” negli spogliatoi. Qualcuno che interrompa il “gioco”, che non rida, che faccia domande scomode: se qualcuno parlasse così di tua figlia?».
Liberarsi dagli schemi
L’uomo ha tutto da guadagnare nel liberarsi del ruolo che gli è stato imposto, ribadisce Siclari. «Il saggio Männliche Sozialisation: Bewältigungsprobleme männlicher Geschlechtsidentität im Lebenslauf (1993) di Böhnisch e Winter analizza come gli uomini sviluppano la propria identità di genere attraverso le fasi della vita, affrontando pressioni sociali e modelli culturali limitanti. Non possono essere loro stessi: devono corrispondere a un’immagine stereotipata. Spesso crescono con padri assenti e madri, nonne, maestre che si prendono cura di loro. Seguono modelli suggeriti dai pari e dai media». Negli anni Novanta, ad esempio, dominavano i macho d’azione (Schwarzenegger e Stallone), i belli e dannati (Dylan in Beverly Hills) e i padri autoritari.
«Così – spiega l’intervistato – passiamo la vita cercando di appartenere al gruppo degli “uomini veri”: forti, muscolosi, performanti, capaci di affrontare ogni sfida, responsabili del sostentamento economico della famiglia e distanti dalla sfera emotiva (associata al mondo femminile). Anche l’affettività tra uomini viene sanzionata, per paura-rifiuto dell’idea di avvicinarsi all’omosessualità. Ne deriva grande sofferenza». Non entriamo nell’ambito di eventi traumatici – come separazione, divorzio e malattia – che scardinano di botto lo schema con conseguenze devastanti. Restiamo nella «normalità» che fa male ed ecco alcuni segnali chiari, misurabili in costi sociali elevati: «Gli uomini vengono incarcerati circa 10 volte più delle donne; sono molto più spesso autori di violenza (in Svizzera il 70% del totale) mentre tra le vittime ci sono soprattutto donne, specie in ambito domestico e sessuale; gli uomini hanno un’aspettativa di vita più bassa rispetto alle donne (anche per la propensione ad assumere comportamenti rischiosi), hanno molti più problemi di alcolismo e altre dipendenze; il tasso di suicidi tra gli uomini è più alto; loro sono meno propensi a chiedere aiuto, a prendersi cura della loro salute mentale, a parlare delle proprie emozioni, a seguire terapie. Ricorrono poco al medico, si sottopongono a meno controlli preventivi (l’idea sottesa è che bisogna risolvere i problemi da soli); sono in molti a consumarsi di lavoro. Nel nostro Paese solo il 21,1% degli uomini adotta il part-time a differenza del 58,4% delle donne, dati UST del 2024».
Iniziative in Ticino
Chiediamo al nostro interlocutore qualche idea «pratica» per promuovere tipi di mascolinità più sana e libera. Il punto fondamentale – dice – è quello di riconoscere gli stereotipi e cercare di offrire ai più piccoli modelli alternativi. Come? Ad esempio proponendo giochi non sessisti (bambole e costruzioni per tutti), parlando di emozioni, raccontando storie di bambini empatici e bambine coraggiose; educando al linguaggio inclusivo, al rispetto, alla reciprocità. Per quanto riguarda le iniziative di Männer.ch, in Ticino ne sono finora state portate due. «Un importante lavoro che riguarda i neo-papà», spiega Siclari. «Abbiamo assunto un’infermiera pediatrica, Emilie Cittadini, con l’incarico di mettere a punto dei percorsi di sensibilizzazione rivolti alle istituzioni al fine di coinvolgere maggiormente i padri nella cura dei figli. Mentre a livello nazionale l’organizzazione ha ideato degli spazi di riflessione e di parola per i papà, dove mettere in discussione gli stereotipi, riflettere sulla paternità (o l’attesa della paternità), sulla necessità di negoziare nella coppia e al lavoro, su cosa è davvero importante». Molti studi hanno dimostrato che padri più presenti crescono bambini più sani ed equilibrati da tutti i punti di vista.
Il secondo progetto arrivato nel nostro Cantone si chiama Il fattore M, Mascolinità e radicalizzazione, una ricerca che mette in luce i legami tra mascolinità tossica, radicalizzazione ed estremismo violento e suggerisce dei modi per prevenire e contrastare l’odio (https://www.maenner.ch/wp-content/uploads/2025/02/leitfaden_faktorM_final-italiano-1.pdf). Il progetto è stato presentato alle autorità, vedremo a cosa porterà; intanto la polizia si è detta interessata a formazioni mirate sull’argomento. La parola – per l’esperto – può aiutare a guarire. «La speranza rimane, anche se finora in Ticino ho trovato pochi ragazzi e uomini con la voglia di incontrarsi e mettersi in discussione. Nessuno mi dice apertamente che sbaglio a portare avanti queste idee ma nessuno si fa avanti, nonostante i numerosi vantaggi che un cambiamento porterebbe alla società».