Fino all’altro ieri, Putin era un affilato comunista del KGB, obbligatoriamente ateo e, come tale, mangiapreti (forse mangia-pope, visto il contesto). Oggi, dopo un’invisibile conversione – lui sostiene di essere stato battezzato in segreto da bambino – promuove un legame osmotico tra Stato e Chiesa ortodossa russa, parlando di «sinfonia» tra potere politico e religioso. Un pio guerrafondaio, insomma.
Netanyahu era un ebreo religiosamente tiepido (secondo diverse fonti, non ha nemmeno celebrato il Bar Mitzvah, la cerimonia di iniziazione religiosa ebraica) e oggi, seguendo i suoi alleati ultraortodossi, sposa versetti della Tanàkh (la Bibbia ebraica, Primo libro di Samuele 15:3) per giustificare l’escalation militare su Gaza: «Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini». Bisogna ammettere che Israele quel versetto lo applica con devota fermezza.
Trump era un presbiteriano più incline al peccato che alla redenzione. E durante le esequie di Charlie Kirk, l’influencer MAGA ucciso con un colpo d’arma da fuoco il 10 settembre, ha pronunciato un discorso che, pezzo dopo pezzo, si rimangia la laicità su cui si fonda l’America moderna: «Rivogliamo Dio indietro», ha detto, invocando un ritorno della religione nella vita pubblica americana. Ma dovrà cimentarsi con qualche ripasso del catechismo, visto che ha aggiunto, assai poco evangelicamente: «Io odio i miei avversari e non auguro loro il meglio». L’avevamo intuito.
La libertà religiosa è il cuore della tradizione liberale democratica: le nostre Costituzioni nascono proprio per evitare che una religione domini sulle altre o che lo Stato imponga una sua fede. Sono passati quasi 500 anni dal principio «cuius regio, eius religio» («di chi è il regno, di quello sia la religione») e ci sono voluti secoli, e molte sanguinose guerre di religione, perfino in Svizzera, per sancire il diritto alla libertà di coscienza e di religione.
Nell’esercizio del proprio mandato popolare, i politici devono saper inserire le proprie credenze nel contesto della laicità. Per un rappresentante del popolo, le leggi del suo dio sono sacre, ma non possono scavalcare quelle degli uomini. Non perché siano meno vere o meno importanti, ma perché in uno Stato di diritto la società è composta da credenti e non credenti, da atei, agnostici, fedeli a una religione e credenti di altre religioni, e sarebbe iniquo imporre a un intero corpo sociale il pensiero e i dogmi dei suoi capi politici. Succede solo nei Paesi fondamentalisti, di cui nessuno approva l’arbitrio mistico (si fa per dire).
Non ci sembra il caso, dopo tanti anni di denunce più che giustificate contro alcuni regimi liberticidi islamici, di passare a una Sharia anti-laica in salsa giudeo-cristiana. Da una parte, chi governa non può cancellare le religioni, dall’altra non deve utilizzarne una a sua immagine e somiglianza, per ridurre al silenzio i nemici (o la ragione).
 
			         
			         
			        