La guerra dei dazi, avviata dall’amministrazione Trump, ci ha abituato a considerare con prudenza ogni possibile giudizio. Dapprima perché non abbiamo esperienze recenti di protezionismo che possano permetterci di informarci. In secondo luogo perché sulla dimensione dei dazi da imporre Trump ha fatto, nel giro di pochi mesi, più di una giravolta rendendo così arduo ogni apprezzamento della sua politica. Quel che invece è constatabile è che, ad inizio agosto, imponendo un dazio del 39% su quasi tutti i beni esportati dalla Svizzera negli Stati Uniti, Trump è riuscito a spaventare più di una ditta esportatrice e più di un commentatore dei fatti economici del nostro Paese. Nei giorni che hanno seguito l’introduzione del muro daziario, poi, i mass media svizzeri hanno cercato di dare un’idea delle sue conseguenze negative, soprattutto andando a scovare esempi di aziende toccate da questa misura. Probabilmente questi esempi hanno seminato ancora più spavento senza che, per il momento, si possa valutare, con dati indiscutibili, l’impatto globale dei dazi americani.
Tra qualche settimana, quando saranno rese note le previsioni per il 2026, ne sapremo certamente di più e con un grado di approssimazione migliore. Per il momento possiamo riferirci solo alle indicazioni che ci offre uno scenario, elaborato dalla Seco nel mese di giugno di quest’anno. Lo stesso si basa sull’ipotesi di un dazio americano del 31% per le esportazioni dalla Svizzera, di uno del 50% per quelle dai Paesi dell’Ue e di uno del 100% per le esportazioni dalla Cina. Il colpo di freno indotto dall’introduzione di dazi di questa portata veniva stimato, considerando come si è comportato l’indicatore settimanale dell’attività economica del nostro Paese, a partire dal mese di aprile di quest’anno, cioè da quando Trump annunciò la sua strategia protezionista. Gli esperti della Seco comparavano poi l’ampiezza di questo colpo di freno (che concerne, lo precisiamo, i mesi da aprile a giugno e quindi un periodo in cui i dazi non erano ancora operativi) con le diminuzioni che l’indicatore settimanale aveva conosciuto in choc economici degli ultimi anni come la crisi bancaria internazionale del settembre 2008, la rivalutazione del franco del gennaio 2015 e la recessione dovuta alla pandemia del marzo 2020 giungendo a conclusioni tranquillizzanti. La pandemia e la crisi bancaria internazionale sono state vere e proprie scosse congiunturali con al seguito recessioni che durarono qualche semestre. Invece, la rivalutazione del franco del 2015, contrariamente alle attese, non ebbe praticamente nessun impatto negativo a livello degli aggregati dell’economia. Per la Seco, infine, l’impatto negativo dei dazi di Trump, se ci sarà, non dovrebbe raggiungere, per l’insieme dell’economia svizzera, l’ampiezza delle recessioni del 2008 e del 2020 o del colpo di freno del 2015. Vi sono diversi fattori che concorrono a spiegare perché potrebbe essere così. Il primo è che, a differenza della rivalutazione del franco del 2015, che determinò un aumento dei prezzi di tutti i beni esportati pari al 10%, i dazi di Trump, pur essendo elevatissimi, non concernono che meno di un quinto delle esportazioni dalla Svizzera. Gli urti maggiori, osservano gli esperti della Seco, si ebbero però nel caso della crisi finanziaria internazionale del 2008 e nel caso della pandemia da Coronavirus del 2020. Nel 2020 perché, in seguito alla chiusura delle frontiere, il commercio internazionale ristagnò per diversi mesi mentre nel 2008 perché, sempre per un periodo abbastanza lungo, i crediti bancari restarono congelati. In queste due crisi, l’indice settimanale di attività scese sotto lo zero. Nel caso della presente crisi ancora non si è manifestata una diminuzione della stessa ampiezza. Tanto rumore per nulla, quindi? Attenzione! I segni di un rallentamento congiunturale sono già percepibili. Il tasso di crescita del Prodotto interno lordo è sceso, nel 2025, dallo 0,8% del primo, allo 0,1% del secondo trimestre. Fino alla fine di giugno, cioè fino alla fine del periodo considerato nello scenario Seco, la nostra economia continuava ad essere leggermente in crescita. Difficilmente lo resterà però nel secondo semestre anche perché i dazi, che sono ora operativi, determineranno un rallentamento della congiuntura in altre economie nazionali, buone clienti della nostra.