Troppo malato per essere salvato?

by Claudia
9 Ottobre 2023

Subito mi scuso se anch’io affronto questo tema che altri già hanno commentato anche sul nostro giornale. Mi preme soffermarmi su alcuni aspetti che a mio parere (non di competente o di addetto ai lavori, ma di giornalista e prima ancora di persona anziana) meritano attenzione. Ognuno di noi, e non solo in questi giorni, avverte preoccupazione per gli aumenti che anche l’anno prossimo avranno i premi delle casse malati, lame di coltelli che confermano l’inevitabile esito di un sempre più brutale rituale. Lungi da me l’idea di proporre la pletora di prese di posizione e di lamenti scattati con l’annuncio dei nuovi numeri. Mi limito a un distinguo, molto semplice, che però continua a sfuggire all’attenzione dei più: a colpire noi tutti non sono gli aumenti dei premi per assicurarci contro le malattie, bensì i rialzi dei costi generati dalle regole di partecipazione ai costi della sanità pubblica. Provo a spiegarmi partendo da un altro campo d’azione e ricordando un detto ormai famoso, «too big to fail», cioè «troppo grande per (essere lasciato) fallire», con cui vengono designate le grandi imprese che non possono fallire e che alla fine i Governi accettano sempre di aiutare (basti citare il caso Credit Suisse o le successive apprensioni rivolte a eventuali future difficoltà del colosso bancario UBS). Ecco: l’onorevole Berset, invece di ribadire la difesa di un convoglio che sta facendo deragliare i conti della sanità pubblica, avrebbe dovuto ammettere che la Lamal è ormai «too sick to be treated», cioè «troppo malata per essere salvata».

Tentando una prima lettura di questo concetto occorre purtroppo partire dal sempre più insopportabile e sovente ipocrita coro delle prefiche che va in scena ormai ogni inizio autunno, quest’anno rafforzato dalla concomitanza con la campagna per le elezioni federali. Il lamento è «filo conduttore» valido per tutti: per una classe politica che così maschera la sua ignavia ormai decennale e per la privilegiata categoria professionale, la cui élite lentamente ma inesorabilmente si sta adoperando per realizzare una medicina a più velocità. Credo di poter aggiungere che serve anche ai media, perlomeno per dare continuità a una sempre più distratta loro forza critica, spesso adagiati a tollerare i copioni di chi da decenni annuncia riforme e poi a lasciare che spariscano nei gorghi creati dai giochi lobbistici. Tempo allora per cambiamenti radicali: i politici per primi, convocando quantomeno una sessione straordinaria in novembre, cioè per i loro ranghi rinnovati; a rimorchio le casse malati, magari annunciando che gli aumenti rimangono congelati fino a febbraio o marzo, in attesa che Governo e camere prendano decisioni. E anche qui non dimenticherei i media: chissà se riescono a lasciare un po’ in disparte le rincorse a delitti, processi, gossip e social glob, e a vigilare perché l’interesse pubblico e politico resti su questo problema, con l’obbligo per il nostro Cantone di ridurre i costi della sanità pubblica?

Va da sé che le riforme si fanno a Berna. Non credo però che il nostro Cantone lanci qualche segnale, ad esempio accogliendo fra le deduzioni fiscali per l’anno in corso l’intero importo dei premi assicurativi; oppure di mostrare vera intransigenza verso certi abusi, come pure circospezione verso le sempre più palpabili manovre di privatizzazione di certe specializzazioni mediche. Occorrono insomma segnali da cui derivi concertazione e non sconcerto, dimostrando che si passa decisi al concreto e che Governo, Parlamento e partiti non resteranno in attesa che un futuro o una futura Berset annunci fra 12 mesi gli stessi aumenti a due cifre per il Ticino. Termino cercando di ribadire il concetto esposto: se per il «too big to fail» del Credit Suisse sono giunti in poche ore garanzie e sostegni miliardari, forse è opportuno agire allo stesso modo anche per un sistema «troppo malato per essere salvato». Prima però occorrerà che le lobby siano imbavagliate e che chi oserà proporre ancora emendamenti alla Lamal, o attese per riforme di là a venire, venga fischiato come ostruzionista.