Quando la pace è un sogno impossibile

by Claudia
23 Ottobre 2023

La tragedia del Medio Oriente ha un colpevole, Hamas. Qualsiasi discorso non può che cominciare con la condanna del massacro di civili israeliani: un crimine contro l’umanità che niente può giustificare. Non giustificare però non significa rinunciare a capire, che è fondamentale per evitare che i massacri si ripetano. Israele ha ucciso di volta in volta i capi di Hamas: due solo nel 2004, lo sceicco Yassin e Rantissi. Ma Hamas nominava un capo ancora più spietato. Ora Israele è convinta a eliminare Hamas per sempre. Ma è come se Hamas avesse teso una trappola: «Volete Gaza? Venite a prendervela».

A gestire la crisi è il leader più longevo della storia di Israele. Nello stesso tempo, è un leader debole e screditato, almeno agli occhi di metà della popolazione. Israele non riesce a vivere né con né senza Benjamin Netanyahu. Quando divenne premier nel 1996 in America c’era Clinton, in Germania Kohl, in Francia Chirac, in Russia Eltsin, in Egitto Mubarak. I suoi colleghi sono quasi tutti morti. Lui nel 1999 perse le elezioni contro Ehud Barak, l’ultimo premier laburista, capo di un partito che aveva fondato lo Stato ebraico e ora in pratica non esiste più. Con Barak è morto il sogno della pace: Israele la considera impossibile, e l’unico leader cui la maggioranza relativa dell’unica democrazia del Medio Oriente fino all’altro giorno era disposta ad affidare la propria protezione resta il fratello di Yoni Netanyahu, l’eroe di Entebbe. Nel 2019 andai a un comizio di Netanyahu e intervistai suo fratello minore, Iddo, che raccontò la morte del maggiore, Yoni, capo e unica vittima del raid israeliano che liberò gli ostaggi di Entebbe (Uganda): quattromila chilometri di volo radente notturno per sfuggire ai radar, il dittatore Amin Dada costretto alle dimissioni. Dopo la morte del primogenito, Bibi e Iddo lasciarono l’America e si arruolarono nell’esercito israeliano. Sono cose che vanno conosciute, per capire e valutare.

L’unico vero leader alternativo a Netanyahu emerso in questi anni è Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore, ora entrato al fianco di Bibi nel Governo di solidarietà nazionale. Gantz in passato ha fatto a Israele la promessa più rivoluzionaria: la normalità. Ma Israele non pensa e non sente di vivere tempi ordinari. Netanyahu vive in una campagna elettorale permanente: in questi anni ha stretto la mano a tutti i suoi compatrioti. Ha seppellito politicamente l’ostile Obama, ha flirtato con Trump – che ha portato l’ambasciata americana a Gerusalemme – e ora si confronta con Biden, che lo scongiura di lasciar perdere l’invasione di Gaza. Netanyahu è amico di Putin. Dialoga con Al Sissi. Si confronta con Erdogan e con la dinastia saudita. È rispettato dai cinesi, temuto dagli ayatollah, detestato da gran parte della stampa del suo Paese. Non è un uomo di pace, ogni volta che oscilla nei sondaggi rilancia assicurando che con lui non ci sarà mai uno Stato palestinese e che presto annetterà almeno un terzo della Cisgiordania; ma non ha mai scatenato una guerra (l’ultima, l’invasione del Libano, fu decisa da Ariel Sharon e condotta dal suo successore Olmert). Netanyahu, cresciuto negli USA, fino all’altro ieri è stato percepito come un leader adatto al mondo globale e nello stesso tempo come il più affidabile difensore della terra, dell’identità, degli interessi del popolo di Israele. E questo ha indotto ancora molti a perdonargli l’uso spregiudicato del potere, della propaganda, financo del nemico alle porte. Più che da quello palestinese, Israele è accerchiata dal nemico iraniano, che prepara l’atomica e nel frattempo arma, addestra, finanzia Jihad e Hamas a sud, Hezbollah a nord, il regime di Assad a est. Ma – nonostante questo, o proprio per questo – metà Israele non si era mai sentita così al sicuro come con Netanyahu. Ora tutto questo è stato infranto dall’attacco di Hamas. Cui difficilmente Netanyahu sopravvivrà politicamente. Comunque vadano le cose a Gaza. Anche i palestinesi sono divisi. Hamas con l’attacco del 7 ottobre ha voluto lanciare un messaggio: «I veri nemici di Israele siamo noi». In Cisgiordania c’è un leader anziano, Abu Mazen, che ha 88 anni e da tempo non convoca elezioni nel timore di perderle. Se davvero Hamas resistesse all’attacco israeliano diventerebbe più forte di prima. E questo non possono permetterselo né gli israeliani, né i palestinesi che ancora credono, se non nella pace, in una prospettiva politica per il proprio popolo.