L’altro giorno al supermercato ho fatto notare alla collaboratrice che stava facendo la revisione delle rimanenze che i prezzi dei prodotti aumentavano di settimana in settimana. «Dica pure di giorno in giorno», mi ha risposto di sottecchi. In effetti, quello che stiamo vivendo dall’inizio dell’anno, è un periodo di generalizzazione dell’inflazione. Mentre nel 2022 l’aumento dei prezzi si concentrava nel settore energetico, ora tocca i prodotti di tutti i settori. Che i prezzi aumentino lo constatate voi stessi confrontando quanto spendevate per l’alimentazione nell’ottobre di due anni fa e quest’anno. Ma l’insieme dei prezzi cresce molto meno: lo prova l’evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo che, in settembre, segnalava un aumento pari all’1,7% rispetto al settembre dello scorso anno. Ci sono dunque due realtà inflazionistiche? Sì, da un lato c’è l’inflazione che viene misurata dall’indice dei prezzi al consumo. E dall’altra c’è l’inflazione, con tassi più elevati, che tutti noi sperimentiamo, nella nostra veste di clienti del supermercato, inquilini, automobilisti e consumatori di vari prodotti e servizi. Sorprende poi constatare che mentre la prima inflazione sta diminuendo – almeno per il mese di settembre rispetto al mese di agosto – la seconda continui ad aumentare.
L’inflazione ufficiale è in diminuzione dappertutto. In Europa era pari al 5,3% nel mese di luglio 2023 contro un 8,9% del luglio 2022 (dati Eurostat). Il rincaro annuale non è uguale in tutti i Paesi. In testa alla lista c’era, quest’anno, la Turchia con un tasso di inflazione pari al 48%. Altre Nazioni con tassi di inflazione elevati – tra il 10 e il 20% – erano l’Ungheria, la Serbia e la Polonia. In coda alla classifica veniva invece il Belgio (+ 1,7%). Con il 2,1% la Svizzera si trovava – in luglio del 2023 – al terzultimo posto. Era dunque una delle Nazioni europee nelle quali l’inflazione si era ridotta al minimo. Le cause di questa diminuzione della pressione inflazionista sono facili da trovare: dall’anno scorso a quest’anno l’aumento dei prezzi dell’energia si è contratto molto. In qualche caso, nonostante la guerra in Ucraina e la politica restrittiva dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, si sono registrate diminuzioni di prezzo dei vettori energetici. Di conseguenza l’indice dei prezzi al consumo, nel quale il consumo d’energia ha un peso importante, ha visto il suo tasso di aumento annuale diminuire. Ma accanto a questa inflazione «ufficiale», c’è quella che registra ognuno di noi quando, ad esempio, si reca a fare la spesa. Quest’ultima ha due componenti. Da un lato la crescita dei prezzi dei prodotti nelle loro confezioni tradizionali: come la bottiglia di olio d’oliva da un litro che è passata da 14,60 franchi a 16,60 (+16% circa). Dall’altro invece c’è l’aumento dei prezzi che è dovuto alla riduzione della quantità venduta al vecchio prezzo. A questo proposito si parla di «riduflazione» o «sgrammatura».
Per poter fare un confronto sull’aumento dei prezzi dei singoli prodotti e servizi occorrerebbe avere a disposizione una statistica aggiornata dei prezzi che entrano a comporre il paniere tipo che serve per il calcolo dell’indice dei prezzi al consumo. Per il momento una lista di prezzi aggiornata di questo tipo non è disponibile; disponiamo delle variazioni dei prezzi del paniere nel caso di altri Paesi. Prendiamo il caso della Spagna che nel luglio 2023 aveva il medesimo rincaro annuale della Svizzera, ossia il 2,1% (dati Eurostat). Nonostante il tasso medio di rincaro fosse basso, le variazioni annuali dei prezzi dei beni alimentari come l’olio di oliva, lo zucchero, il riso, le patate, la carne di maiale e il latte in Spagna erano superiori al 15%. È probabile che, anche nel caso della Svizzera, a un tasso di aumento annuale dell’indice dei prezzi al consumo relativamente basso possa corrispondere un largo ventaglio di aumenti di prezzo con tassi di aumento molto più alti per prodotti di largo consumo. Che questi incrementi non influenzino l’evoluzione del tasso medio dell’indice dei prezzi al consumo è dovuto alla poca importanza della spesa alimentare nel totale della spesa delle nostre economie domestiche. Questo spiega perché oggi il consumatore sente il rincaro in modo più profondo di quanto sia in grado di registrare l’indice dei prezzi al consumo. C’è dunque un’inflazione misurata dalla statistica ufficiale e una che invece si sente direttamente.