Non litighiamo e godiamoci il volo

by Claudia
30 Ottobre 2023

Suona bizzarra la storia del trentatreenne ticinese che fa il necroforo, raccontata da Matilde Casasopra a pag. 9. «Non dimenticherò mai – ha spiegato ad Azione – il giorno in cui mi sono trovato in prima fila per la cerimonia di commiato di un uomo che avrebbe salutato per l’ultima volta la sua compagna della vita. Lo ricordo ancora quel signore, pieno di dignità e dolore. So che alla fine mi si è avvicinato e guardandomi dritto negli occhi mi ha preso la mano, l’ha stretta, mi ha abbracciato e, tra le lacrime, mi ha detto: “Grazie!”. Era di quell’umanità, di quella vicinanza fatta di rispetto ed empatia che avevo bisogno per dare un senso alla mia vita». Mentre in questi giorni i ragazzi si travestono da zio Fester o da Dark Lady per i festini di «paura per finta» di Halloween c’è chi, pur in giovane età, la morte la sente come qualcosa di più reale e significativo della risibile scelta fra dolcetto e scherzetto. Qualcosa che, paradossalmente, dà senso alla vita. Coi tempi che corrono, non è l’unico a pensarlo.

Sarà che gli eventi degli ultimi anni ci hanno tolto l’illusione di vivere in un paradiso lontanissimo dalla possibilità di morire davvero a uno schiocco di dita: così, adesso, stasera o domani, come avviene in troppe altre aree del mondo. Dopo la pandemia, coi cortei di carri funebri di Bergamo e le case per anziani ticinesi dove i nostri cari se ne andavano senza che potessimo salutarli, e coi venti di guerra che soffiano dalle steppe dell’Est ai deserti del Medio Oriente, risvegliando lo spettro del terrorismo internazionale, ci sentiamo un po’ meno al riparo da quella cosa naturale e naturalmente antipatica che è la morte. Tocca farci i conti, insomma, perfino nella società che sogna scientificamente l’eternità e studia a tavolino la creazione di ibridi fra uomini e macchine che dovrebbero prolungare la nostra presenza sul pianeta a tempo indeterminato (sono le prospettive aperte dal cosiddetto «postumanesimo»).

Fra paure e scongiuri, vale la pena di perdersi fra le tombe del cimitero monumentale di Milano, come il nostro collaboratore Luigi Baldelli (vedi il servizio a pag. 17), anche se personalmente preferisco il cimitero di Staglieno a Genova, dove gli scultori hanno reso plastica l’idea indicibile della nostra fine, con tutte quelle mani ossute che, per orribile contrasto, affondano le falangi nelle carni tenere e sensuali di donne e putti di marmo, fiori di carne ghermiti dalla signora incappucciata, la falce in una mano e l’esistenza terrena delle prede nell’altra.

Girovagare tra i sepolcri è un piacere crepuscolare e a suo modo romantico. Ci regala scorci neogotici di teso silenzio, spettacoli di polvere depositata a strati seppiati sui panneggi o sui corpi nudi di angeli ed eroi, ricordandoci che, in fin dei conti, siamo tutti granelli di materia miracolosamente viva sparsi in un universo di materia morta.

Per questo – a beneficio dei non credenti, dei credenti e dei dubbiosi – vale la pena di ricordare una frase del fisico britannico (agnostico) Fred Hoyle: «Le probabilità che un processo spontaneo metta insieme un essere vivente sono analoghe a quelle che una tromba d’aria, spazzando un deposito di robivecchi, produca un Boeing 747 perfettamente funzionante».

Ecco cosa siamo, in questo mondo che tende all’entropia: dei Boeing creati dal caso, dall’evoluzione o da un Essere supremo – vai a sapere – che camminano, pensano e si travestono da mostriciattoli per partecipare ai party con le zucche illuminate. Io che scrivo e tu che leggi, siamo entrambi dei miracolati e fingiamo di dimenticare che prima o poi il nostro aereo atterrerà e finirà a dormire dentro un hangar arrugginito.

Nel frattempo, dovremmo preoccuparci di farci un bel volo, di gustare le giravolte della vita ad ali spiegate, planare e risalire. Non è stata una gran trovata, quella della modernità, di espellere come un tabù l’idea della morte. Potrà immalinconirci, ma sapere che c’è una fine rende la nostra vita più piena e divertente. Un conoscente che mi aveva preso in simpatia da ragazzo, malato terminale e consapevole della fine imminente, anni fa mi sussurrò all’orecchio un distillato di saggezza dell’ultima ora: «Non perder tempo a litigare con gli altri o a piangere su te stesso. La vita può essere lunga o breve, ancora non lo sai. Perciò sorridi e goditela». A distanza di anni, ogni tanto torno a salutarlo nel suo hangar, grato per il regalo di quella frase.