Cyberuntori e virus ideologici

by Claudia
6 Novembre 2023

Ricordate il teatrale arrivo di Elon Musk alla sede principale di San Francisco di Twitter, battezzato X per personalizzare la sua acquisizione? Reggeva tra le mani un lavandino e annunciava che avrebbe stasato il social media. Un anno dopo, con il sempre più magmatico flusso del suo social e senza porre limiti ad abusi, contaminazioni, inquinamenti e disinformazione, Musk riesce solo a suscitare disorientamenti, perplessità e scandali. Dice bene Matt Navarra, stratega e commentatore di social media: «Non abbiamo visto Twitter morire ma l’abbiamo visto degenerare, deteriorarsi, diventare meno utile, meno prezioso e più tossico». Il risultato è che ora anche X (oltretutto potenziato dalle centinaia di satelliti Starlink che Musk fa ruotare attorno alla Terra) figura come arma negli arsenali ideologici di dittature, populisti ed estremisti che lo utilizzano con altri social per diffondere disinformazione falsando avvenimenti, uccidendo la verità e diffondendo odio. Il fenomeno, dapprima circoscritto a livello di interferenza nelle campagne elettorali, in Occidente si è molto sviluppato ai tempi della pandemia di Covid, quando movimenti no-wax ed estremismi di destra l’hanno utilizzato per tentare di avviare una forma di bio-terrorismo (secondo il Geneva Centre for Security Policy, gruppi neo-nazisti spesso infiltrati nei cortei di chi osteggiava i vaccini arrivarono sino a suggerire ai propri membri «se siete infetti, trasformatevi in armi biologiche umane»). Adottata dal regime di Putin per giustificare le sue «operazioni speciali» in Ucraina, l’arma del web viene ora fotocopiata ed esibita anche dal terrorismo islamico contro Israele: per inondare i social media di brutalità e immagini scioccanti, servirsi della disinformazione per dominare l’attualità e impedire di accertare la verità, come pure per fomentare gli «ismi» più odiosi. Pensiamo alla recente «caccia all’ebreo» utilizzata sui social per alimentare l’antisemitismo.

Tecniche e artifizi di questa disinformazione sfruttano principalmente il fattore velocità con cui i social media diffondono in pochi secondi e in tutto il mondo notizie e immagini false. Al contrario, chi deve accertare e denunciare la menzogna per ristabilire verità e responsabilità incontra difficoltà spesso insormontabili, bisognose di tempi lunghi. Difese contro simili armi? Sin dai primi segnali registrati con il Coronavirus, diverse organizzazioni, come Interpol ed Europol, si erano attivate per controllare e combattere il parallelo fenomeno dei «cyberuntori», rafforzando poi negli ultimi tempi le attività di identificazione e monitoraggio sulle varie piattaforme digitali sino a intimare rimozioni di canali e pubblicazioni online. Con l’invasione dell’Ucraina si è però passati a livelli ancora più alti, rendendo così inevitabile che Governi, eserciti e servizi di sicurezza affrontassero con decisione questo fenomeno (anche i movimenti estremisti, il terrorismo islamico sfruttano queste tecnologie). Una singolare e importante conferma l’ho reperita in una delle ultime inchieste curate da Milena Gabanelli sul «Corriere della Sera» in cui si ipotizza che all’origine dell’effetto-sorpresa della strage del 7 ottobre possa esserci l’uso di canali analogici che avrebbero consentito ai terroristi di aggirare i controlli digitali e i rilevamenti sonori dell’intelligence israeliana. Più chiaro, come misura di difesa, l’intervento della procuratrice generale di New York Letitia James che, dieci giorni dopo l’attacco di Hamas contro Israele, ha inviato un’ingiunzione a Google, Meta, X, TikTok, Reddit e alla piattaforma video Rumble chiedendo loro quali misure avessero intrapreso per fermare la diffusione di contenuti «che incitano all’odio incoraggiando la violenza contro persone e istituzioni ebraiche e musulmane».

Pessimista la scrittrice e attivista canadese Naomi Klein secondo la quale – pur aumentando le attività di identificazione, monitoraggio e rimozione del flusso online di terroristi ed estremisti – è inutile pensare di risolvere il problema trattando i social come le altre aziende di telecomunicazione e sperare di sottoporli a obblighi di legge. A configurare la pericolosità di questi «virus ideologici» basta un semplice dato: nei giorni seguenti la strage perpetrata da Hamas la piattaforma TikTok ha ammesso di aver cancellato più di 500 mila video e live streaming anti-semiti già condivisi milioni di volte.