Il grande gioco dei destini incrociati

by azione azione
10 Novembre 2025

Colpo critico: tarocchi, racconti, epifanie e altre forme che non rappresentano soltanto, ma rianimano ciò che sembrava immobile

In un villaggio polacco, all’inizio del Novecento, c’era un rabbino celebre per la sua saggezza. Un giorno gli chiesero di raccontare una storia. Lui cominciò a dire: «Una storia dev’essere narrata in modo tale che sia efficace, e un aiuto essa stessa». Poi disse: «Vi racconto la storia di mio nonno, che era paralizzato. Un giorno gli chiesero del suo maestro, che spesso si metteva a saltellare e a danzare nel luogo in cui si trovava, preso da un impeto spirituale. Per spiegare questo, mio nonno si alzò e continuò a raccontare mentre saltellava e danzava. A partire da quel momento fu guarito». Il rabbino fece una pausa, poi soggiunse: «Ebbene, è esattamente in quel modo che bisogna saper raccontare».

Né di stile, né di psicologia del personaggio, ma di quando un racconto costringe il corpo a vibrare, a non rimanere fermo

Sento in me l’esigenza di narrare fin da bambino. Ma raggiunta l’età della (più o meno) ragione, è sorta una domanda: a che cosa portano le mie storie? È un gesto che faccio perché so farlo, un tentativo di chiarire sommovimenti che avvengono dentro di me, oppure può avere un valore anche per il mondo? Il vecchio rabbino mi ricorda ogni volta che le storie devono portare alla danza. Se una storia smuove la mia paralisi, allora potrà forse servire anche agli altri. E invece, al contrario, se una storia non tocca nemmeno il mio «cuore paralitico», come lo chiamava Agostino d’Ippona (Discorso 46, 13), allora come potrà mai essere utile a qualcuno?

Credo che la stessa cosa valga per i giochi. Non c’è bisogno che siano esplicitamente narrativi. Il movimento che riproduce il mondo come danza può essere intrinseco, come accade nel mazzo dei tarocchi. Secondo lo studioso Michael Dummett, i tarocchi nacquero tra Ferrara e Mantova nel 1430 (cfr. Game of Tarot: From Ferrara to Salt Lake City, US Games System, 1980). È l’epoca che precede la nascita di Matteo Maria Boiardo, che scriverà L’Orlando innamorato, il poema epico poi completato da Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso. La corte degli Este di Ferrara era un crogiolo di storie, in cui si mescolavano i personaggi del ciclo arturiano, come lo stesso Artù, Ginevra, Lancillotto, e quelli del ciclo carolingio, come Orlando, Rinaldo, Bradamante. Le regole sono simili alla briscola, ma le carte speciali (i cosiddetti «trionfi») sembrano richiamare eroi e colpi di scena: la Papessa, l’Imperatore, gli Amanti, l’Eremita, il Penduto, il Diavolo, l’Angelo, il Mondo, il Matto, eccetera. I tarocchi si diffusero poi in Francia e da lì nei Paesi anglosassoni. Nei secoli successivi crebbe il loro uso divinatorio, mentre diminuì quello ludico.

Giampaolo Dossena, tuttavia, ancora nel 1984 racconta di avere assistito in un’osteria bolognese a una partita allo storico Tarocchino di Bologna, un gioco fra i più complessi e intricati di cui si abbia notizia (pur essendo probabilmente una semplificazione di quello che si praticava nel XVIII secolo…). Dossena rammenta che uno degli anziani giocatori fece questo commento: «Bègato ha scavezzato criccone». Questa arcana espressione, in una lingua ormai remota, rimase «scolpita nella memoria» dell’autore (G. Dossena, Giochi di carte italiani, Mondadori, 1984; «Bégato» è il Bagatto, uno dei trionfi, mentre «criccone» è una combinazione di tre carte). A chi volesse assaggiare il gusto di questa tenzone antica, consiglio il Tarocco Bolognese ristampato dalla cartiera Modiano.

I tarocchi fanno danzare la mente, suggerendo una storia anche in un contesto non direttamente narrativo. Lo si capisce bene giocando a una rivisitazione moderna: Présages, creato da Maxime Rambourg (Spiral Éditions, 2025). Le carte, magnificamente illustrate da Ben Renaut, hanno nomi evocativi: lo Specchio, l’Enigma, la Morte, la Speranza, il Sogno, la Malizia, eccetera. Le regole sono semplici: da 4 a 6 partecipanti, divisi in due o tre squadre, cercano di liberarsi per primi delle proprie carte, secondo criteri che cambiano a ogni mossa. Ed è come se nascesse un’epopea: vuoi mettere prendere la Gelosia dopo che il tuo compagno ha gettato sul tavolo il Tradimento, mentre gli avversari giocano l’Orgoglio e l’Amicizia? Un giro di tavolo ed è già un intero romanzo…

Présages sarebbe piaciuto a Italo Calvino, che nel suo Il castello dei destini incrociati (1973; Oscar Mondadori, 2023) parte proprio da un mazzo di tarocchi per intrecciare avventure mirabolanti. «Il filo della storia è ingarbugliato – scrive Calvino – non solo perché è difficile combinare una carta con l’altra ma anche perché ogni nuova carta che il giovane cerca di mettere in fila con le altre ci sono dieci mani che s’allungano per portargliela via e infilarla in un’altra storia che ciascuno sta mettendo su». È sempre così: una storia tira l’altra. Per fortuna.