La nave di Teseo facendo la spesa

by Claudia
10 Novembre 2025

Oggi vi propongo di salire sulla famosa nave dell’eroe mitologico Teseo. La nave di Teseo è infatti protagonista di un altrettanto famoso esperimento mentale che ha molto interpellato il pensiero, fin dall’antichità. Nel racconto che ne fa Plutarco nelle sue Vite parallele, la nave del grande condottiero Teseo fu conservata a lungo dai greci. Con il passare del tempo tuttavia i legni si deteriorarono e un po’ alla volta vennero completamente sostituiti da legni nuovi. Ecco allora la domanda: quella nave, tutta rinnovata nelle sue parti, è ancora la nave di Teseo? Questo paradosso è stata a lungo discusso nei secoli, dai filosofi greci fino a Thomas Hobbes che, nel Seicento, approfondì ulteriormente questo intrigante esperimento mentale: e se con tutti i vecchi legni sostituiti ricostruissimo una nave, quale sarebbe la nave di Teseo? O forse ce ne sarebbero due? Gli esperimenti mentali catturano da sempre la nostra attenzione perché vanno al cuore di domande che spesso nemmeno ci viene in mente di porci ma che ci riguardano molto da vicino. La nave di Teseo, ad esempio, pone la questione, più che mai attuale, del significato del cambiamento e dell’esperienza personale del cambiamento, nostro e di tutto ciò che ci circonda. Pone questioni forse irrisolvibili ma affascinanti: che ne è della permanenza, dell’identità di ogni cosa, e di noi stessi, nel vortice dei cambiamenti che scandiscono, oggi più che mai, le nostre giornate e le nostre vite? La prima domanda che viene in mente, credo, è proprio quella che riguarda la nostra identità: chi sono io, o meglio, sono sempre io, nonostante i mille cambiamenti dovuti al trascorrere del tempo, alle esperienze, alle relazioni che scandiscono la mia vita? Le risposte possono essere anche molto diverse: posso riuscire ad identificarmi con il permanere della mia coscienza, o con la mia anima o, ancora, posso riconoscere la presenza del mio io proprio nelle relazioni in cui prende forma la mia esistenza. Lascio a chi lo desidera il piacere di continuare l’ardua riflessione. Per quanto mi riguarda, devo invece svelare il contesto, un po’ sorprendente, in cui mi è venuto da pensare alla nave di Teseo. È stato qualche settimana fa, mentre facevo la spesa, dunque in un ambiente pieno di oggetti, di prodotti da osservare, da scegliere e da mettere nel carrello. Era un giorno in cui nel negozio si respirava un’atmosfera particolarmente movimentata perché erano in atto vistose, quanto inattese trasformazioni degli spazi, con relativi, inattesi, spostamenti dei prodotti e con tutto il personale in costante movimento, impegnato a rendere vivibile per i clienti il grande trambusto. Era divertente osservare i balletti improvvisati di chi girava spaesato alla ricerca di marmellate e biscotti spariti dai soliti scaffali, o di chi, dirigendosi spedito al reparto surgelati, si trovava di fronte a calzini e pantofole. In questa particolare e curiosa circostanza mi è venuto all’improvviso alla mente proprio il paradosso della nave di Teseo, a suggerirmi una nuova bella domanda. Proprio come per la nave di Teseo, mi sono chiesta fino a che punto il continuo cambiamento, con cui potenziamo o abbelliamo spazi e cose che ci circondano, non trasformi la natura stessa degli spazi e delle cose. Vedendo tanti volti disorientati e a tratti anche spazientiti, mi sono chiesta che cosa ne sia di noi, del nostro vissuto quando ci troviamo costretti ad accogliere continui mutamenti e ad assecondare quella voglia di trasformazione che si è impadronita del nostro tempo. Che cosa può significare il fatto di dover convivere con il continuo cambiamento o con gli spostamenti delle cose che ci circondano, oggetti tecnologici o prodotti alimentari che siano, biscotti o biglietterie elettroniche? E soprattutto, quali sono le ricadute, sul nostro intimo vissuto, delle trasformazioni spesso improvvise (quando non improvvisate) di luoghi familiari, di atmosfere consuete, di spazi vitali condivisi? Spero che i miei lettori non siano delusi per le molte domande che lascio senza risposta. Ma di risposte ne circolano tante, perfino troppe. Spesso sono risposte che rischiano di diventare gabbie per il nostro sentire e per il nostro pensare. Tante risposte, di cui abbiamo dimenticato le domande, impediscono di praticare quel sapere aude, quel coraggio di pensare con la propria testa con cui Kant aveva identificato l’illuminismo. Anche nelle situazioni più banali della nostra quotidianità, il coraggio di ascoltare e di coltivare domande che scavalchino risposte già date e tranquillizzanti ci tiene in contatto con noi stessi e con la nostra umanità un po’ smarrita.