L’importanza di non piacere

by azione azione
3 Novembre 2025

Il caffè dei genitori: sembra un messaggio controcorrente, eppure non piacere oggi è un atto di coraggio come ci spiega Thomas Leoncini nel suo ultimo saggio

Gli adolescenti vivono sempre più dentro una gabbia: quella del giudizio. A dircelo è, prima di tutto, il loro linguaggio. Ogni mese su Azione, nella rubrica Le parole dei figli, analizziamo uno per uno i termini più usati dalla Gen Z (spesso per noi adulti incomprensibili). Se proviamo a metterli in fila, emerge un filo rosso: riflettono una forma di addiction, una dipendenza dal desiderio di piacere.

Riflettiamoci un attimo. Goat è l’acronimo di Greatest of All Time, ovvero il «Più Grande di Tutti i Tempi»: essere un Goat significa eccellere, distinguersi, avere il coraggio di essere unici. Aura è diventato un modo per descrivere carisma, stile e personalità: su TikTok si è diffusa l’attribuzione di punti aura che ciascuno può guadagnare o perdere in base alle proprie azioni. «È uno/a che fa catfishing!» è usato per schernire chi, dal vivo, è diverso da come appare sui social, dove si mostra tramite filtri che modificano gli scatti per migliorare l’aspetto fisico. Slay (da to slay: uccidere) è chi spacca: una persona che colpisce per stile o sicurezza. Glow up è l’evoluzione estetica: lo fa chi è diventato più figo, più sicuro, più cool. Il like fa il resto, in una generazione per la quale il numero di cuori su un post o di follower su Instagram può fare la differenza tra chi si sente importante e chi si sente uno «sfigato».

Non è un caso che la paura dei nostri figli sia espressa dall’acronimo inglese Fomo, Fear Of Missing Out: il timore di essere esclusi. In questo cortocircuito piacere diventa fondamentale per non essere out. Perché restare fuori è come non esistere. Ma che vita è una vita appesa al giudizio altrui?

È il motivo per cui, a Il caffè dei genitori, scegliamo di lanciare un messaggio controcorrente, oggi più urgente che mai: l’importanza di non piacere. È il titolo dell’ultimo saggio di Thomas Leoncini (L’importanza di non piacere, Sperling & Kupfer, Mondadori, 2025), giornalista e scrittore quarantenne, già autore di due bestseller internazionali: Dio è giovane (Piemme, 2018), scritto con Papa Francesco, e Nati liquidi (Sperling & Kupfer, 2017), scritto con il filosofo Zygmunt Bauman. Nel 2018 Papa Francesco lo ha nominato membro laico del Sinodo mondiale dei giovani. Leoncini non ci gira intorno: «Creando un profilo social chiediamo al mondo una sola cosa: “Appagami, ti prego!”».

Se chiunque, a partire dai tempi che furono, ha coltivato il desiderio di piacere, per i giovani della Gen Z la questione è più complicata: «Prima dell’avvento del World Wide Web (la ragnatela globale di Internet) potevamo piacere potenzialmente a tutto il paese o alla città – sottolinea Leoncini –. Ora sappiamo che potremmo piacere a milioni di persone, il che ci rende più ansiosi, ma anche stimolati dalla possibile, straordinaria gratificazione futura». Leoncini lo definisce il dilemma del secolo: sentirsi accettati o rimanere autentici? E, soprattutto, com’è possibile in questo contesto, restare autentici?

Come ben sanno i nostri lettori più accaniti ci piace analizzare l’etimologia dei termini. Ed è quello da cui parte anche Leoncini. Per il vocabolario Treccani il verbo intransitivo placēre è affine a placare che vuol dire calmare. Giocando sull’etimologia comune, Leoncini si domanda: piacere agli altri cosa placa in noi? La sua risposta: «Placa il dubbio costante, ripetitivo, ingombrante e scomodo di non essere abbastanza. Abbastanza cosa? Abbastanza tutto: abbastanza capaci, abbastanza smart, abbastanza attraenti, abbastanza forti, abbastanza liberi, abbastanza adatti a questo tempo. In altre parole, piacere agli altri ci fa sentire degni di essere amati».

Tutto ciò, però, porta chiunque – e soprattutto i nostri figli che sono esposti al giudizio all’ennesima potenza del World Wide Web via social – a sentirsi a posto con se stessi in base all’apprezzamento di qualcun altro. Con due conseguenze: 1) «Accettare una catena di gratificazioni momentanee (come l’appagamento che deriva dai complimenti), piuttosto che la naturale adesione al potenziale naturale che ci portiamo dentro»; 2) «Fare diventare la vita una parentesi al servizio di tutto fuorché di noi stessi».

Ecco, allora, che è più che mai necessario fare uscire i nostri figli da questo loop. Per poterlo fare dobbiamo aiutarli a coltivare l’autostima! «Come si crede in sé stessi? – riflette Leoncini –. Ho scoperto che quasi tutti siamo vittime di un luogo comune, perché il succo della risposta più gettonata è: in base a quello che si è riusciti a fare. L’autostima, invece, non dipende da quello che abbiamo fatto in passato, ma da quello che pensiamo di poter fare nel futuro. È il valore che diamo a noi stessi nelle sfide che affronteremo, di qualunque natura esse siano».

Non possiamo esimerci, però, dal domandarci: abituati a un linguaggio che scandisce giudizi (dati o ricevuti), figli di una società alla perenne ricerca di consenso tramite like e follower, schiacciati dalla paura della Fomo, che rende ogni esclusione visibile all’ennesima potenza, come possono i nostri adolescenti capire che l’importante non è piacere, ma essere se stessi, se anche noi genitori – spesso inconsapevolmente – alimentiamo questa pressione chiedendo loro di essere sempre performanti? Marianna Scollo Abeti, psicologa e psicoterapeuta del Meyer di Firenze, ci richiama proprio su questo punto nella newsletter dell’ospedale pediatrico di aprile 2025: «In una società sempre più competitiva, dove il successo sembra legato a risultati oggettivi e quantificabili, alcuni genitori possono scambiare l’alto rendimento scolastico e le prestazioni eccellenti nelle attività dei figli come l’unico metro per valutare la loro realizzazione. Ma se valutati solo in base alle performance, i bambini rischiano di sviluppare una bassa autostima, sentimenti di angoscia e colpa, con un conseguente calo di motivazione e divertimento. Il messaggio che ricevono è che il loro valore dipende solo dai risultati, non dalle loro qualità personali. È importante, quindi, cercare di arginare questi effetti negativi delle aspettative genitoriali, valorizzando l’unicità del bambino e le sue naturali inclinazioni, ascoltando le sue esigenze e la sua sensibilità, enfatizzando il valore dello sforzo a prescindere dal risultato».

Insomma, come possono i nostri figli uscire dal circolo vizioso del piacere a tutti i costi, se noi per primi – che siamo i loro genitori – sembriamo apprezzarli fin da quando sono bambini solo quando ottengono risultati al top?

Non c’è, dunque, da sorprendersi se la Generazione Like si è trasformata nella Generazione Ansia! A questo proposito ci sembra prezioso il suggerimento di Leoncini che rilegge la parola «ansia» come un acronimo: Ancora Non So Interpretarmi Abbastanza. Forse il primo passo è questo: aiutare i nostri figli a capire se stessi, non a piacere a noi genitori né, tantomeno, agli altri. Perché imparare a non voler piacere a tutti è, oggi più che mai, un atto di coraggio: vuol dire avere la forza di essere semplicemente se stessi. L’importanza di non piacere è tutta qui.