Ritrovare la bussola partendo dal secondo piano

by azione azione
27 Ottobre 2025

La Fondazione il Gabbiano ha inaugurato un nuovo progetto con atelier educativi dedicato a ragazzi tra i 14 e i 20 anni che non hanno un lavoro e non studiano

«Mi verrebbe da dire che la condizione dei giovani non è peggiorata a causa di qualcosa di particolare e non possiamo parlare di disagio giovanile. Il punto è che a non stare bene è la società intera. Un malessere legato non solo alle insicurezze del quotidiano e alle difficoltà del mercato del lavoro ma anche alle incertezze che viviamo a livello globale. Sono punti di fragilità, questi, che si ripercuotono sui giovani. La gioventù è sempre stata “problematica” da un certo punto di vista e bella allo stesso tempo. Ma oggi ci sono tanti adulti, tanti genitori che fanno fatica e tutta questa loro pressione ricade automaticamente sui giovani». Parla Edo Carrasco, direttore generale della Fondazione Il Gabbiano, da lungo tempo attivo nell’accompagnamento socioprofessionale e psicoeducativo di giovani e adolescenti in Ticino. Lo interpelliamo nel pieno di un nuova sfida: riagganciare i NEET, acronimo inglese che significa Not in Education, Employment or Training. Tradotto: ragazzi che non sono occupati, non studiano e non seguono corsi di formazione. Una inattività che può derivare da difficoltà scolastiche, scoraggiamento, mancanza di opportunità. Ebbene, per loro una nuova chance è ora pronta a decollare con un progetto concreto. Si chiama «Secondo piano», proprio perché lì si trova nell’edificio di via Maderno 18 a Lugano e richiama appunto una parte di giovani troppo spesso messa in secondo piano.

Edo Carrasco, come è nato questo nuovo progetto e quali obiettivi si propone?
Il progetto è sorto da una possibilità di partecipare a un bando Interreg, in collaborazione con alcuni partner italiani, che sostiene iniziative i cui interessi in ambo i Paesi sono di livello nazionale. Il tema riguarda ragazzi che non hanno attività scolastiche, formative, occupazionali. Staccati, dunque, da una rete sociale e che hanno delle difficoltà. Mentre finora con i progetti che avevamo sviluppato con Il Gabbiano lavoravamo con giovani adulti dai 18 ai 25 anni e con qualche minorenne, abbiamo visto in questi anni una crescita delle difficoltà socioeducative e un maggiore disagio psichico presso ragazzi più giovani. Ed è per questo che abbiamo voluto partire con questo progetto rivolto a un target dai 14 ai 18, fino ai 20 anni che cercherà di accogliere giovani che si trovano in crisi già alla fine delle scuole dell’obbligo o che dopo le Medie non hanno ancora trovato una loro strada, che si trovano chiusi su se stessi o che hanno difficoltà personali di vario genere. Si tratta di giovani segnalati all’Assicurazione invalidità o seguiti dal Magistrato dei minorenni e dai sostegni pedagogici di istituti scolastici.

Cosa s’intende concretamente per NEET?
Questa casistica, definita NEET, è nota da una decina di anni a livello europeo. Basti pensare che in Italia riguarda 2 milioni e mezzo di giovani. Sono dunque dei fenomeni veramente preoccupanti. A livello europeo abbiamo partecipato anche a degli scambi – sono stato in Danimarca, in Spagna e Olanda – e abbiamo osservato che si tratta di un problema trasversale a tutta l’Europa che tocca i giovani più fragili e sensibili. Il post-Covid ha accelerato determinati meccanismi di isolamento in certi ragazzi. Per questo abbiamo cercato di offrire qualcosa di nuovo che non esisteva prima alle nostre latitudini. Questo bando ci permette di sperimentare per due anni il progetto e di avere scambi di esperienze professionali con i partner che hanno partecipato con noi al bando. In questo momento, con la crisi economica che attraversa il nostro Cantone, non sarebbe stato possibile proporre qualcosa di nuovo senza questo aiuto e, inoltre, abbiamo trovato anche dei fondi privati. Occorre però essere realistici: le difficoltà economiche ci sono e si ripercuotono su tutto il settore. Come Fondazione abituata a rispondere ai bisogni di ragazzi in difficoltà, ci sembrava importante accogliere questa fascia un po’ più giovane e provare a trovare delle soluzioni concrete per aiutarla a ritrovare un percorso personale formativo che permetta di rimanere attivi all’interno della società.

Come sarà strutturato «Secondo piano»?
Il nostro progetto propone una serie di attività diversificate che consentano a ogni partecipante di scoprire molti mondi. Il nostro programma prevede un calendario settimanale suddiviso in mezze giornate diurne. Non sono state immaginate come delle lezioni scolastiche, bensì come attività pratiche integrate: videogiochi educativi, fotografia con stampa in camera oscura per cercare di carpire le immagini in modo diverso, muovendosi sul territorio, nella città. Ci sarà inoltre un laboratorio Podcast che insegna le tecniche dell’audio e del suono. C’è inoltre un atelier di «cambio abito» di costume, dove le ragazze e i ragazzi possono provare una miriade di vestiti collezionati da una nostra amica sarta; inoltre abbiamo un’Officina del dolce in cui imparare ricette che si possono realizzare anche a casa. La griglia si completa con attività del verde e di sartoria. Una nostra consulente condurrà invece uno spazio legato all’orientamento professionale, esercitando i colloqui professionali e l’allestimento di curriculum vitae efficaci. Una psicologa terrà inoltre colloqui individuali e famigliari, con un approccio sistemico relazionale e collaborando con i servizi e i terapeuti del territorio.

Quanti giovani potrete accogliere?
Accoglieremo tra gli 8 e i 10 giovani. Stiamo completando i primi colloqui. L’idea è di diventare operativi con le attività settimanali a partire da novembre. In questo momento abbiamo concluso l’allestimento di tutti gli atelier e disponiamo di tutti gli operatori. I partecipanti devono fare quello che riescono: se qualcuno non è in grado di prendere parte a tutte le attività si cercherà di creare un programma personalizzato per portarlo ad attivarsi progressivamente. L’obiettivo è che i ragazzi riescano a svolgere buona parte delle proposte e permettere loro di vedere e sperimentare più attività. Una volta raggiunte alcune competenze, potranno partecipare a stage e ad esperienze professionali concrete, finalizzate alla ricerca di un impiego di apprendistato o di una scuola. Lavoreremo inoltre in stretto contatto con la Città di Lugano e il Comune di Massagno. Inizialmente è importante che il ragazzo trovi un suo equilibrio e qualcosa che lo possa motivare, poi progressivamente comincerà degli stages ed infine si spera che inizi una formazione che gli permetta di ottenere un diploma e un suo futuro formativo. Si tratta, insomma, di riagganciarli da un profilo relazionale in un momento di crisi per poi motivarli a trovare la loro strada, con la speranza che possano intraprendere un percorso più sereno per la loro vita adulta.