Il richiamo dell’acqua da Golino ai Caraibi

by azione azione
27 Ottobre 2025

Nel nuovo documentario di Fulvio Mariani, Claudio Gazzaroli si racconta attraverso immersioni e immagini

Immergersi nell’acqua, che sia un laghetto alpino o il Mar dei Caraibi, è anche un viaggio alla scoperta di sé stessi. È questo che guida Claudio Gazzaroli, ticinese di Golino, da sempre attratto dall’acqua ben oltre la sua professione di idraulico. Una passione che l’ha portato nel tempo a interessarsi di fotografia e di viaggi. Le sue immagini e le sue vicende hanno interessato uno dei massimi documentaristi svizzeri, Fulvio Mariani, che vanta una carriera ultra quarantennale, con all’attivo decine di documentari di montagna e di viaggio, dal primo successo con Cumbre (1985) fino al recente Il ragno della Patagonia. Ne è uscito un suggestivo lavoro dal titolo La leggerezza sommersa, coprodotto da Rsi e sostenuto dalla Ticino Film Commission, in uscita ora nelle nostre sale con due anteprime.

L’immersione è un punto di partenza per un percorso di conoscenza e un’apertura all’esterno e al mondo, sebbene alimentato da una sorta di paradosso. «Andare sotto il ghiaccio è un richiamo interiore, lo faccio per me stesso», spiega Gazzaroli all’inizio, mentre si cala nelle acque, ancora circondate e coperte da neve e ghiaccio di un lago nell’alto Ticino. La filosofia del protagonista prevede che non esista una stagione indicata per esplorare i fondali, prevale il richiamo dell’avventura, che può essere vicino a casa, in stagni, pozze o laghi ticinesi o mari lontani e misteriosi. Una continua tensione verso l’ignoto, spinto da una passione che l’uomo non potrebbe portare avanti senza il pieno sostegno e la condivisione della sua famiglia. Seguendo Gazzaroli si scoprono la metamorfosi delle salamandre o la deposizione delle uova da parte di rane e rospi o, più prosaicamente, ci si cala nel lago a breve distanza dalla riva di Lugano per pulizie e manutenzioni di filtri. Via via ci si allontana dalle origini e ci si dirige verso le coste sudcoreane della remota isola di Jeju, per immergersi con le donne pescatrici di una comunità che vive di sussistenza, o quelle messicane dello Yucatan, dove si sente la presenza delle civiltà antiche e si incontra la ballerina e apneista cilena Rose.

Il documentario è caratterizzato da un doppio sguardo, quello di Gazzaroli sulla natura e sui mondi che lo affascinano e quello del regista (appassionato da sempre di viaggi e incontri) sul fotografo e sub. Il film diventa così un gioco di riflessi come quelli possibili sull’acqua, un gioco di luci, ombre, bui, improvvise illuminazioni. Le immagini mostrano la bellezza della natura, e non vogliono illustrare la vita dell’esploratore o le fatiche o i rischi, bensì sono quasi astratte e sott’acqua somigliano più a inquadrature di pellicole fantascientifiche che di documentario naturalistico. La scoperta della natura – compresi fenomeni poco visti come gli affascinanti «cenote» messicani, grotte ora sommerse ma abitate al tempo dei Maya – si accompagna alla scoperta di sé stessi. Un viaggio introspettivo e interiore che diventa spirituale e mistico, di cui tocca a Rose, con il suo contributo poetico e quasi magico, rivelare gli aspetti più significativi allo spettatore.

Il film lascia una sensazione di apertura e di stupore. E se il sonoro è una componente cruciale, con i rumori della natura, i silenzi, le poche parole e l’atmosfera di sospensione, è forse il tempo l’elemento dominante ne La leggerezza sommersa, un tempo diverso dalla percezione comune, calato in una dimensione diversa che offre nuove prospettive di visione e di pensiero.