«La guerra trasforma l’uomo in demonio»

by azione azione
20 Ottobre 2025

Bertha von Suttner ispirò Alfred Nobel, inventore della dinamite e fondatore dei premi che portano il suo nome

Un vecchio che vince alla lotteria ma muore il giorno dopo. Una corsa gratis quando hai appena comprato il biglietto. Una grazia ricevuta nel «Braccio della morte»… due minuti in ritardo. Sono scene tratte da Ironic, brano che spopolava negli anni Novanta e racconta il lato ironico e paradossale della vita quotidiana. Ci è venuto in mente rileggendo la biografia di Alfred Nobel, dopo il recente annuncio della vincitrice del Premio per la pace, la venezuelana María Corina Machado. Già, perché l’uomo che ha lasciato in eredità uno dei più prestigiosi riconoscimenti per la promozione della pace, costruì la sua fortuna proprio grazie alla guerra (online trovate un interessante contributo Rsi intitolato «Il complesso volto del Nobel»).

Sterminatore o filantropo?

Il suo nome è legato soprattutto all’invenzione della dinamite (1867), un derivato della nitroglicerina che rivoluzionò l’industria mineraria e il settore delle costruzioni, ma trovò anche ampia applicazione nel contesto dei conflitti armati. Tra i suoi oltre 300 brevetti figura anche quello della balistite (1888), una polvere da sparo senza fumo, usata per proiettili e munizioni, che migliora la visibilità in battaglia. E Nobel, a quanto pare, acquistò quote in una fabbrica svedese di cannoni e armamenti…

Però, col tempo, l’inventore-imprenditore cominciò a riflettere sulle implicazioni etiche delle sue attività. Si dice che i suoi dubbi si acuirono dopo l’episodio del necrologio pubblicato per errore a suo nome nel 1888, quando morì suo fratello Ludvig. Nel saggio La pazza scienza il divulgatore scientifico Luca Perri scrive: «Alcuni giornali francesi, confondendo il defunto con suo fratello Alfred, annunciarono la morte di quest’ultimo con frasi non propriamente lusinghiere. Uno su tutti scrisse: “Il mercante di morte è morto! Il dottor Alfred Nobel, che fece fortuna trovando il modo di uccidere il maggior numero di persone possibile più velocemente che mai, è morto ieri”. Alfred, profondamente turbato dal lutto e da tali parole, decise che non sarebbe passato alla storia come uno sterminatore, ma come un generoso filantropo. Nel suo testamento (firmato a Parigi il 27 novembre 1895, ndr.) decise quindi di istituire un fondo cui destinare circa il 94% dell’immensa fortuna accumulata, 31 milioni di corone svedesi». Gli interessi generati da tale fondo avrebbero dovuto finanziare dei premi da assegnare a coloro che, nel corso dell’anno precedente, avessero contribuito in modo significativo al progresso dell’umanità. Da qui i Nobel per la Fisica, la Chimica, la Medicina, la Letteratura e la Pace.

Si pensa che l’idea di quest’ultimo riconoscimento gli sia venuta da una donna di nobili origini: Bertha von Suttner, intellettuale nata a Praga nel 1843 e morta a Vienna nel 1914, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, una delle voci più autorevoli del pacifismo europeo di quegli anni. Per breve tempo segretaria di Alfred Nobel a Parigi, intrattenne con lui un fitto scambio epistolare che durò fino alla morte dell’inventore-imprenditore (leggi Un’amicizia disvelata. Carteggio (1883-1896), Moretti & Vitali). Fu la prima donna a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 1905 e la seconda a ricevere un Nobel tout court (dopo Marie Curie premiata nel 1903 per gli studi sulla radioattività, insieme a Pierre Curie ed Henri Becquerel).

Giù le armi, serve umanità

L’opera più celebre di Bertha von Suttner è Giù le armi, pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1889. Testo che vi consigliamo di leggere in questo tempo incerto dove furoreggiano le voci grosse e i nuovi Ministeri della guerra, dove tregue mal raggiunte restano appese a fili sottilissimi mentre l’esistenza di tanti/e resta segnata da sofferenze atroci. Il romanzo-manifesto racconta la vita di Martha Althaus, cresciuta in un ambiente aristocratico dominato da una cultura che esalta l’eroismo guerresco («che disdetta per il sesso femminile essere escluso da questa magnifica esibizione del virile sentimento dell’onore e del dovere!») e la «sopportazione» delle donne, «fiere» di sacrificare mariti e figli sull’Altare della Patria. La sua esistenza viene sconvolta da quattro grandi conflitti europei del XIX secolo: la Seconda guerra d’indipendenza italiana (1859), la Seconda guerra dello Schleswig (1864), la Guerra austro-prussiana (1866) e la Guerra franco-prussiana (1870–71). Martha si scontra giorno dopo giorno con la dura realtà: l’ansia di notizie dal campo di battaglia, la crudele perdita di persone care, i duri contraccolpi economici e sociali, i racconti delle continue atrocità… Trasformandosi in una convinta pacifista, contraria al nazionalismo e al patriottismo imperanti che nascondono solo «brama di conquista» (fondò e animò diverse associazioni pacifiste in Europa).

Spedizioni in vista del bottino

Vi lasciamo con alcune frasi tratte dal libro, brutalmente attuali. «Non mi era più possibile, in quella notte, attribuire alla parola “guerra” il suo sublime significato storico, ma soltanto quello terribile di distruzione». «Perché (il soldato, ndr.) deve assalire? Perché deve, quando nessuna sorpresa minaccia la sua patria, unicamente per sostenere le contese, l’ambizione di principi spesso stranieri, mettere a rischio le sue sostanze, la sua vita, il suo focolare, quasi si trattasse, come si dice per giustificare la guerra, di proteggere la vita, il focolare dei propri concittadini?». Le guerre – sottolinea l’intellettuale – sono «spedizioni in vista del bottino», «massacri», «macellerie spaventose». «Ma non sarebbe meglio, infinitamente meglio, non mandarli al macello, questi poveri soldati?». «Non affermate più che la guerra nobilita l’uomo! Confessate che lo snatura, lo trasforma in tigre, in demonio!».

Per quel che riguarda la visione del «nemico»: «I peggiori sentimenti, quali ad esempio desiderio di conquista, mania di azzuffarsi, crudeltà, rapacità, inganno, sono ammessi come esistenti nelle guerre, ma solo fra i nemici, la cui inferiorità morale è evidente. Prescindendo dall’inevitabilità politica della campagna intrapresa e dagli indubbi vantaggi patriottici, la vittoria è considerata come un’opera moralizzatrice, un premio dispensato dal Genio della Civiltà». Invece tutte le fazioni in lotta si macchiano di crimini orrendi: «Quali risarcimenti? Nessun generale si permetterebbe di dire oggi alle sue truppe: “Voi potete saccheggiare, violare, incendiare, uccidere”, come si faceva nel Medioevo per eccitare l’ardore delle orde guerriere. Oggi si può, tutt’al più come ricompensa, far brillare dinnanzi ai soldati la prospettiva radiosa di una più bella distribuzione di carne…».

I conflitti – ripete von Suttner – fanno male a (quasi) tutti/e: «Ad eccezione dei fornitori dell’esercito, non c’è uomo d’affari a cui la guerra non abbia recato incalcolabili danni. Tutto ristagna: il lavoro nelle fabbriche, il lavoro dei campi, migliaia di uomini sono disoccupati e senza pane. Insomma, è una miseria, una miseria». «Che disgrazia che queste questioni politiche non possano essere regolate da un tribunale internazionale, invece di essere definite coi sistemi della devastazione e del massacro».