Medico di famiglia e geriatra uniti per rispondere ai bisogni complessi del paziente nella terza età
«Quando nostra madre ha iniziato a mostrare segni di declino cognitivo e fragilità fisica, il medico di famiglia non si è limitato a prescrivere farmaci, ma ha coinvolto un geriatra. Fra loro è nata una collaborazione efficace che ha messo al centro il suo benessere: il geriatra l’ha accolta con le sue competenze specifiche legate all’età avanzata, mentre il suo medico curante con la rassicurante conoscenza di lunga data, ha garantito la continuità del percorso. Insieme, hanno costruito un piano di cura personalizzato, affrontando aspetti medici, psicologici e sociali, cosa che ha rassicurato nostra madre, e non ci ha fatto sentire soli ad affrontare la complessità della sua salute». Laura e Gianni (conosciuti dalla redazione) così raccontano come hanno affrontato il delicato momento dell’invecchiamento materno. Una situazione che è destinata a toccare sempre più persone perché, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), l’invecchiamento demografico in Svizzera è un fenomeno destinato ad accentuarsi: la quota di popolazione over 65 è già elevata (circa il 19 % nel 2021) e le proiezioni indicano nuove crescite fino al 26-27% entro il 2045. L’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) conferma che il Ticino è un cantone particolarmente colpito, con la popolazione più anziana della Svizzera (oltre 23 %) e un andamento al rialzo previsto fino al 32 % entro il 2050. Sta di fatto che entro il 2050 gli over 65 saliranno al 32,3% e gli ultraottantenni raddoppieranno, mentre la popolazione giovane e quella in età lavorativa caleranno.
L’invecchiamento demografico è destinato a crescere, e le cure geriatriche diventano sempre più centrali nella sanità pubblica e nella vita delle famiglie. Non si tratta solo di gestire malattie croniche, ma di tutelare qualità della vita, autonomia e dignità. Mentre rimane essenziale affrontare l’età avanzata con competenza e umanità. Ne parliamo con il geriatra Florec Kola, che ci aiuta a fare chiarezza sul presente e sul futuro della cura agli anziani, partendo dal presupposto che oggi bisogna considerare un cambio di paradigma nella gestione della loro salute: «Non si tratta più solo di curare malattie, ma di accompagnare una persona spesso fragile, la cui condizione coinvolge non solo aspetti clinici, ma anche psicologici, funzionali e sociali. In quest’ottica, la collaborazione tra il medico di famiglia e il geriatra appare non solo utile, ma imprescindibile». Egli sottolinea come il medico di medicina generale resti comunque la figura di riferimento: «È colui che conosce meglio il paziente nel tempo, nel suo contesto quotidiano e relazionale». Ribadisce l’importanza di coinvolgere il geriatra per i casi più complessi, «quando la presenza di più patologie croniche (multimorbilità) rende necessaria una visione più ampia e specialistica». Allora, l’approccio geriatrico, basato sulla valutazione multidimensionale, può fare la differenza: «Permette di considerare non solo i dati clinici, ma anche le funzioni cognitive, lo stato emotivo, l’autonomia e la rete sociale del paziente, con l’obiettivo di prevenire la disabilità, mantenere l’autonomia e garantire la miglior qualità della vita possibile, anche in età avanzata».
«In Paesi come la Svizzera la speranza di vita è tra le più alte al mondo e la vera sfida non è solo vivere a lungo, ma vivere meglio», afferma Kola che sottolinea come ciò richiede, a maggior ragione, un’assistenza integrata, continua e condivisa tra territorio e specialisti. D’altra parte, egli sottolinea: «L’invecchiamento è un processo molto variabile: ogni individuo invecchia in modo diverso, e gli organi non seguono tutti lo stesso ritmo. Per questo, l’anziano non può essere considerato solo una “persona più vecchia”, ma un paziente con caratteristiche specifiche: spesso affetto da più malattie, soggetto a polifarmacoterapia, talvolta con fragilità fisica, cognitiva o sociale». Allora, il ruolo del geriatra è proprio quello di orientarsi in questa complessità, ricorrendo alla valutazione multidimensionale per costruire un piano di cura realmente personalizzato: «È un lavoro di equilibrio clinico tra patologie, farmaci e vulnerabilità, ma è anche un’opportunità per prevenire peggioramenti e valorizzare le risorse residue dell’individuo».
Potremmo pensare che il medico di famiglia rischi di perdere centralità. Però non è così perché il geriatra non si sovrappone al medico di base, ma lo affianca soprattutto nei casi in cui la situazione si complica: «Il rapporto di fiducia che il medico curante instaura nel tempo con il paziente è un elemento insostituibile. E quando la complessità aumenta, per esempio in presenza di declino cognitivo, fragilità grave o difficoltà gestionali, il coinvolgimento del geriatra consente una presa in carico più efficace, senza mai escludere il ruolo centrale del curante». Il nostro interlocutore spiega come si declina questa collaborazione nella pratica quotidiana: «Si va dai confronti informali sui casi clinici più delicati, alla revisione condivisa delle terapie, alla gestione integrata di condizioni tipiche dell’età avanzata, come le malattie neurodegenerative, le cadute o la fragilità. Quando possibile, l’uso di una cartella clinica accessibile da entrambi agevola la coerenza terapeutica. E spesso, bastano contatti regolari, telefonate o scambi via email, per aggiornamenti e aggiustamenti mirati». Il geriatra, dunque, può intervenire in momenti chiave, come una fase di instabilità clinica, per poi restituire la gestione al medico curante che mantiene la regia del percorso: «In fondo, è lo stesso modello che si applica ad altri specialisti: il paziente non viene “ceduto”, ma seguito in modo coordinato, ognuno per la sua parte». Kola porta ad esempio un caso emblematico di un paziente anziano con sintomi vaghi ma persistenti («vertigini, instabilità, malessere diffuso») che non trovavano spiegazione nonostante consulti neurologici e otorinolaringoiatrici: «Dopo vari tentativi, il medico di famiglia ha deciso di coinvolgere direttamente il geriatra attraverso la cui valutazione è emerso un quadro di fragilità iniziale, associato a un lieve decadimento cognitivo e a una componente depressiva trascurata. Quindi, con alcune modifiche terapeutiche e un breve percorso riabilitativo, il paziente ha migliorato significativamente la sua condizione con un intervento mirato che ha probabilmente evitato eventuali cadute e le loro gravi conseguenze. Senza dimenticare l’aspetto dei costi della salute che si riducono in una presa in carico diretta e multidisciplinare».
Infine, non va trascurato l’aspetto psicologico: «Sapere che il medico curante e il geriatra lavorano insieme offre un senso di sicurezza e continuità a molti anziani e alle loro famiglie. Spesso, i sintomi non sono legati a una singola malattia, ma a un insieme di fattori interconnessi per i quali il geriatra ha una visione globale che tiene conto della persona nel suo insieme, e non solo della diagnosi». L’intervento geriatrico non si limita dunque solo al paziente, ma coinvolge anche chi gli sta accanto. «È la prima volta che qualcuno si prende cura anche di noi», è una frase che i geriatri sentono spesso, afferma Kola che conclude: «Perché in geriatria curare significa anche “prendersi cura”: ascoltare, sostenere e accompagnare paziente e famigliari lungo un percorso condiviso con il medico di famiglia, che resta il punto di riferimento più stabile».
