Salgo sul treno. Trovo posto. Tiro fuori il mio libro. Mi metto a leggere.
«Mi scusi», dice una voce maschile vagamente irritata.
Alzo gli occhi. Uno coi baffi e una polo rosa, in piedi tra due sedili sull’altro lato del corridoio, mi sta guardando.
«Mi dica», dico.
«Che cosa sta facendo?», dice il tipo.
Mi guardo intorno, per controllare di non stare facendo qualcosa di male. Non mi pare.
«Niente», dico. «Leggo».
«E che cosa legge?», dice il tipo.
«Un libro», dico.
«E che razza di libro?», dice il tipo.
«La forma e l’intellegibile, di Robert Klein», dico. Mostro la copertina.
«Fermo là!», dice il tipo. «Ci sono dei bambini».
In effetti, la carrozza è piena di bambini. Uno, avrà due anni scarsi, con una camicina celeste e una braghetta rossa, non fa che correre avanti e indietro per il corridoio. Tap tap tap tap.
«E qual è il problema?», dico.
Il tipo mi si avvicina.
«Lei non si rende conto», dice.
«No», dico, «cioè sì: non mi rendo conto. Non capisco perché lei ce l’abbia con me. Non capisco che problemi ci siano con i bambini».
Il tipo mi è accanto. Pende su di me.
«Lei», dice, «legge», fa una smorfia, «un libro».
«E–», tento di cominciare.
«Si alzi. Venga con me», dice il tipo.
Mi alzo. Lo seguo lungo il corridoio.
«Si guardi intorno», dice il tipo.
«Ma è indiscreto…», dico.
«Chi caspio se ne frega della discrezione», dice il tipo. «Guardi».
A ogni fila, due persone a destra, due a sinistra. Adulti, bambini, qualche anziano. Tutti – tranne il bimbo in camicina celeste e braghetta rossa, che continua a trotterellare avanti e indietro – chini sui loro smartphone.
«Lo so», dico, «molti ormai consumano testi in formato digitale. Secondo un’indagine dell’Aie–».
«E chi caspio è, ’sta Aie?», dice il tipo.
«È l’associazione italiana degli editori, A I E», dico.
«Degli editori di libri?», dice il tipo.
«Sì», dico.
«Ma allora lei non ha capito», dice il tipo. «Non ha capito, o fa finta di non capire, o proprio non vuole capire».
«Senta», dico, «io effettivamente non capisco. Non capisco perché non posso leggermi il mio libro in santa pace».
Il tipo sbuffa. «Guardi che chiamo il controllore», dice.
«Ma chiami chi le pare», dico. E torno a sedermi al mio posto.
Il controllore arriva tre minuti dopo. Il tipo con la polo rosa gli sta alle spalle.
«È lei che sta leggendo un libro?», dice il controllore. Così, senza neanche un «buongiorno».
«Sì», dico.
«E cosa legge?», dice il controllore.
«Questo», dico. «Una raccolta di scritti sul Rinascimento e l’arte moderna. Di Robert Klein».
«È suo?», dice il controllore.
«Certo che è mio», dico. «L’ho comperato ieri. Dovrei avere ancora lo scontrino nel portafoglio».
«Quindi lo ha comperato proprio lei», dice il controllore.
«Sì», dico. «Non me l’hanno regalato. Né prestato. L’ho preso per me».
Il controllore si volta verso il tipo con la polo rosa. «È consumo personale», dice. «Non possiamo farci niente».
«Ma lo vedono tutti», dice il tipo.
«Non è vietato», dice il controllore. «Non è ancora vietato».
«A Milano non si può nemmeno accendere una sigaretta per strada», dice il tipo. «E questo qui può tranquillamente leggere un libro in treno. Un libro sul Rinascimento».
«Questa è la legge», dice il controllore. Poi si rivolge a me: «Quanto a lei», dice, «dovrebbe cercare almeno di usare un po’ di buonsenso».
«E cioè?», dico.
«Questo libro con la copertina scoperta», dice il controllore. «La vedono anche i bambini».
«E che cosa dovrei fare?», dico.
«Avvolgerlo in un foglio di carta, magari di carta a fiori», dice il controllore.
«Lo dice la legge?», dico.
«No», dice il controllore. Mi si avvicina, mi parla quasi nell’orecchio, a bassa voce: «Lei è stato fortunato. Finora se n’è accorto solo questo signore qui. Ma l’altro giorno, sul Venezia-Roma, lei sa che cos’è successo?».
«Non lo so», dico.
«Un linciaggio», dice il controllore. «Un vero linciaggio. C’era uno che leggeva, si figuri, I promessi sposi. I miei colleghi hanno cercato di proteggerlo». Fa una pausa. «Non c’è stato niente da fare».
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