Le riflessioni di Massimo Recalcatinel suo La luce e l’onda
In un suo saggio sulla scuola del 2014 il filosofo Massimo Recalcati insisteva sulla necessità di rivivificare l’atto della lettura in classe. E lo faceva cristallizzando il suo pensiero in una formula forse fin troppo provocatoria («bisogna trasformare il testo in un corpo erotico»). Formula che tuttavia aveva il merito di sollecitare un ripensamento radicale di pratiche didattiche che spesso riducono il lavoro sul testo a compilazioni, griglie o quiz, quando non sviliscono il testo stesso a pretesto per infliggere agli allievi batterie di esercizi grammaticali. Procedimenti, questi ultimi, che evocano piuttosto un’autopsia.
Undici anni dopo, con La luce e l’onda. Cosa significa insegnare? (Einaudi), il filosofo milanese torna sull’argomento approfondendo le ragioni – e anche l’urgenza – che dovrebbero indurre a ripensare il senso dell’insegnamento in tutta la sua complessità . La luce e l’onda del titolo sono immagini funzionali a indicare da un lato la figura del maestro, che deve per così dire illuminare l’allievo allargandone le possibilità di visione; dall’altro l’onda simboleggia la spinta fuori dalla comfort zone, l’impatto con il mare della vita che costringe l’allievo verso la necessaria soggettivizzazione del sapere, che gli consenta cioè di trovare il suo stile, la sua voce. Più tardi troveremo la nostra voce – ammonisce il professor Keating nell’Attimo fuggente – e più tardi inizieremo a vivere una vita degna di questo nome.
Ma quali figure di maestri ci fanno tornare alla mente queste parole? Quali sono stati luce e onda per ciascuno di noi? Nel mio caso è stato Fernando Bandini, che ogni quindici giorni, dopo un estenuante viaggio in treno da Padova, teneva memorabili lezioni all’università di Ginevra. Prima poeta che professore, Bandini appassionava alla poesia senza alcun tono professorale, e quando parlava di Montale o di Ungaretti a noi studenti sembrava di sentire il profumo dei limoni o l’acre odore della polvere da sparo. Ogni vero maestro non pretende di estinguere le mancanze di un allievo, ma agendo nella zona prossimale di tali mancanze, le renderà ogni volta generative. E vedrà l’errore come qualcosa di prezioso, poiché non c’è nulla come l’errore che ci consenta di capire qualcosa del funzionamento della mente.
In un’epoca in cui la figura e il prestigio dell’insegnante sono svalutati e messi in discussione, in cui il predominio sempre più pervasivo delle tecnologie informatiche e la burocratizzazione della scuola riducono le occasioni di sviluppo della soggettività e di crescita interiore, la scuola deve continuare a essere sempre più un luogo di resistenza e al tempo stesso di creatività , un luogo dove sia possibile mobilitare il desiderio di sapere dei giovani, un sapere in grado di allargare l’orizzonte della vita.
Negli anni la riflessione sulla scuola si è fatta inarrestabile, cagionando un numero quasi incalcolabile di contributi critici. Di formazione lacaniana, l’autore si muove con agio nella sterminata bibliografia, a proposito della quale non si possono non notare da un lato la sua critica alle tesi francamente unilaterali di Foucault sull’equivalenza tra sapere e potere e sulle finalità normalizzatrici della scuola (tesi smentite ogni giorno dalla pratica di ogni insegnante); dall’altro la preveggenza, a tanti anni di distanza, di Pasolini quando stigmatizzava la presa invisibile del mercato sulla società o il valore illusoriamente salvifico degli oggetti di consumo.
La relazione tra insegnante e allievo – è questo il cuore del libro – si dispiega e prospera se il maestro rinuncia a essere «un rifugio, un’ombra che mentre ripara la vita dall’impatto con l’onda annulla il desiderio dei suoi allievi vincolandoli a una dipendenza senza vita». E in ogni caso l’autore ribadisce che, al di là di qualunque posizione ideologica, la finalità ultima della scuola non è quella di formare dei docili esecutori, bensì di collaborare all’affermazione dello spirito critico e alla realizzazione vitale dell’allievo, anche a prezzo della perdita di carisma dell’insegnante.
L’immagine dell’onda a cui si accennava prima non va dunque vista solo come un trampolino verso la vita, ma anche come la necessaria emancipazione – o meglio: il necessario tradimento simbolico – del maestro da parte dell’allievo. Così, nelle parole di Nietzsche, Zarathustra risponde a chi continua a seguire il suo insegnamento: «Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari».
Bibliografia 
Massimo Recalcati, La luce e l’onda. Cosa significa insegnare?, Einaudi 2025
 
			         
			         
			        