Il volo verticale di Katherine Choong

by azione azione
13 Ottobre 2025

Adrenalina: dalle palestre del Giura alle grandi falesie del mondo, l’arrampicata come sfida e scuola di vita

Per Katherine Choong, la passione per gli sport adrenalinici si sviluppa tutta in verticale. La 33enne giurassiana è infatti una tra le arrampicatrici più esperte della Svizzera. «Essendo cresciuta in una regione come il Canton Giura, il legame con la montagna ce l’ho praticamente nel Dna» racconta con un sorriso solare Katherine. «Uno dei primi ricordi… in verticale che ho è quello di un piccolo “muro”, sarà stato di cinque metri appena, che mi ha impegnata per un’intera giornata: mi affascinava l’idea di avere di fronte a me un ostacolo, lo vedevo come un problema da risolvere, facendo affidamento alle mie competenze. E ogni volta che venivo a capo di quel problema, sentivo la voglia di andare alla ricerca di una nuova sfida».

È così che questo passatempo condiviso con molti giovani del posto, per Katherine si è rapidamente sviluppato lungo vie sempre più verticali e impegnative. Nel 2009, a soli 17 anni, eccola dunque laurearsi campionessa mondiale juniores di arrampicata indoor. Ad attrarla, però, sono le vie a cielo aperto. E così, parallelamente al suo percorso indoor, in quegli anni iniziano anche le ascese in falesia, sulla roccia viva. «Al coperto, nelle competizioni di arrampicata, ci sono tre categorie: boulder (presa), lead (difficoltà) e speed (velocità). Io mi sono concentrata sulla seconda, dove l’atleta deve arrivare più in alto possibile in un tempo massimo prestabilito (6 minuti). Quando ho cominciato ad appassionarmi a questo sport, nella mia regione non esistevano palestre per l’arrampicata indoor. Ma ho avuto la fortuna di condividere questa passione con Cédric Lachat, un altro grande scalatore nato proprio nel Giura, che mi ha preso sotto la sua ala. Veniva a recuperarmi alla fine della scuola, e assieme andavamo ad allenarci in una palestra a Berna. E durante il viaggio… facevo pure i compiti! Non nego che non fosse stressante, ma tutto questo mi ha dato anche la capacità di gestire quelle situazioni delicate in cui devi concentrare tutti i tuoi sforzi per dare il meglio di te in quel preciso istante, spesse volte nemmeno scelto da te, indipendentemente dalle tue condizioni mentali o fisiche. Il “qui e ora”, che in parete diventa essenziale».

Nel 2016, completati gli studi universitari a Neuchâtel (in legge), le arrampicate in palestra cedono gradualmente il posto a quelle in falesia. Il vero punto di svolta arriva però a fine dicembre 2021, «quando, dopo oltre quindici anni di militanza in seno alla squadra svizzera, chiudo questo capitolo per dedicarmi quasi esclusivamente alla falesia, lungo vie sempre più impegnative e alte: arrampicate su più “tiri” in pareti di diverse centinaia di metri».

Una falesia che, metaforicamente parlando, per Katherine è anche stata una palestra di vita: «Ho iniziato a collaborare con l’organizzazione non-profit ClimbAID, che attraverso l’arrampicata mira a portare cambiamenti positivi nelle comunità, migliorandone in particolare il benessere mentale, e favorendo lo sviluppo personale e il confronto sulle questioni sociali. Nelle vesti di testimonial di ClimbAID sono stata due volte in Libano (nel 2019 e nel 2022) per avvicinare all’arrampicata i rifugiati siriani: è stata un’esperienza molto toccante. Portiamo avanti pure un’attività analoga in diverse palestre della Svizzera: io, ad esempio, propongo dei corsi settimanali gratuiti per i rifugiati della regione del Giura a Delémont».

Nell’arrampicata, Katherine Choong non tarda molto a togliersi importanti soddisfazioni. Come quella di divenire la prima donna svizzera a domare una parete di grado 9a (la via Cabane du Canada, sul passo di Rawyl). Seguono tutta un’altra serie interminabile di pareti e vie mozzafiato, come la Jungfrau Marathon di Gimmelwald (pure una 9a), la Jolie Fleur dans une peau de vache, nelle Gole di Verdon (7 lunghezze per un totale di 300 metri di grado 8b) o, ancora, la 4 Sekunden di Engelberg (7 lunghezze per 170 metri, 8b+), diventando la terza persona (e la prima donna) a completare l’ascesa. L’elenco, che comprende pure la prima ascensione femminile dell’Hattori Hanzo, sulla parete nord del Titlis, è di quelli che mettono le vertigini semplicemente guardandolo. Figurarsi a… scalarlo!

C’è però una via che ancora le si è negata. È quella di Fly (il Volo), impressionante lastra verticale di 550 metri (20 tiri, grado 8C), che sovrasta Lauterbrunnen. «Una delle più dure in assoluto di tutta la Svizzera», confida Cédric Lachat, che nel 2019 aveva guidato la primissima spedizione su questa parete. Assistita in parete dal compagno di arrampicate e di vita Jim, Katherine Choong ci ha provato nel 2023. «Una parete così la si prepara lavorando su diversi segmenti. Provi e riprovi i passaggi più delicati in modo da assimilarli, poi ripeti quelli di base fino a una certa quota, e infine, quando ritieni che la tua preparazione sia sufficiente, assembli il tutto. Nel caso di Fly, poi, ad accrescere la difficoltà è che devi mettere a preventivo una notte in parete, dopo qualcosa come diciassette tiri. Ma è alla ripresa, il giorno seguente, che le cose si complicano. Quando ci ho provato nel 2023, sono arrivata fino al diciannovesimo tiro, che presenta il grado più elevato di tutta la via (8c). E a complicare le cose è il fatto che quando arrivi in quel punto ti manca la freschezza necessaria per avanzare: le prese sono molto piccole e distanti fra loro… Per questo, con Jim avevamo allenato più e più volte questa parte di parete, e solo una volta ben assimilati questi passaggi, ci siamo dedicati all’arrampicata completa, ripartendo dal basso. Ho lottato e lottato, con tutte le mie forze, per superare quel delicato passaggio. Ma a pochi metri dalla sosta ho perso la presa e sono caduta. Peccato, ero davvero vicinissima. Ero però anche stremata: avevo dato tutto. Forse, con il senno di poi, avrei dovuto gestire meglio gli sforzi della vigilia e perdere meno energia preziosa, in modo da essere più fresca l’indomani. Per la prima volta non sono riuscita a completare una via a cui ho lavorato per un anno. Ma ho comunque appreso un’importante lezione, che mi tornerà utilissima per quando riproverò l’assalto a Fly: il mio è solo un arrivederci!».