Narrazioni, saggi cinematografici, poesia,tra le nuove uscite che si offronocome spunti di riflessione e intrecci narrativi
Sandro Vitalini
Le parole del Giubileo
Dadò Editore
Colma due vuoti, il libro Le parole del Giubileo riedito da Dadò Editore: la scarsa attenzione mediatica per il Giubileo della Chiesa cattolica, che è stato aperto da papa Francesco alla fine del 2024 e verrà chiuso da Papa Leone alla fine del 2025; e il recupero di una voce molto apprezzata dai cattolici (e da molti non cattolici) ticinesi, quella di don Sandro Vitalini, scomparso 5 anni fa. Si tratta di una serie di brevi riflessioni del teologo pubblicate dal «Giornale del Popolo» nel Duemila, durante il Giubileo voluto da papa Wojtyla, e assemblate in un volumetto oggi introvabile e quindi ora ristampato. Vitalini passa in rassegna per ordine alfabetico i concetti fondamentali del cristianesimo (dalla A di «Alleanza» alla V di «Vocazione»). Ne esce un fulminante compendio divulgativo della sua «teologia della gioia» che non teme di criticare velatamente, se è il caso, anche la dottrina ufficiale della Chiesa. Come alla voce «Indulgenza», quando scrive che il termine ha assunto una connotazione pessima perché di fatto è legata ai «soldi» e «sarebbe forse meglio trovare un altro termine, come misericordia». La sua didattica è efficace e coraggiosa. Dell’«inferno» dice che «non va certo immaginato come un campo di concentramento con una serie di tormenti raffinati e eterni», perché l’inferno è già in terra: «più una persona fa una scelta egoistica (…) e più esperimenta la dannazione». Viceversa, alla voce «Conversione», spiega che quanto più una persona vive lontano dalla cattiveria, dall’invidia e dalla gelosia, «tanto più esperimenta che il regno è qui, nel suo cuore e trabocca sui famigliari, sui colleghi, sul mondo». Suonano attualissime le sue considerazioni sulla pace quando ricorda che «dietro l’immensa macchina bellica sta il mammona della iniquità che immagina nemici anche dove non ci sono, pur di sviluppare degli armamenti sempre più sofisticati e costosi». È bello ritrovare in questi tempi di violenza efferata e di odio la voce umanissima di Sandro Vitalini, che suona come un antidoto anche contro ogni forma di fondamentalismo religioso. (C. S.)
Parpaglioni Criviasco
Satire della Penagia
Officina dei libri
Si trova un’allegria scomposta, quasi da fiera di paese, nelle pagine della Satira della Penagia di Parpaglione Criviasco, a cura di Gabriele Alberto Quadri (da poco scomparso), per le edizioni Officina dei Libri. Non racconti, ma piccole «istantanee deformate», scritte come se la lingua fosse un impasto di burro e dialetto, di oscenità e invettiva, di immagini barocche e schiette risate da osteria. È una voce che non cerca equilibrio, ma esuberanza: parole inventate, latinismi improvvisi, allusioni sboccate, fino a trasformare la satira in una festa linguistica. Dietro questa furia comica, però, non c’è solo la voglia di scandalizzare. C’è una tradizione che riaffiora: i poeti giocosi medievali, il carnevale rinascimentale, la Roma di Belli, il gusto di Rabelais per la corporeità . L’autore si inserisce in questa linea con un tono personalissimo, capace di alternare la trivialità di una «Lode della gnocca» (in dialetto con traduzione italiana) alla malinconia visionaria di un’insonnia notturna. La penagia, antico strumento caseario, diventa così emblema di una scrittura che sbatte, impasta e centrifuga la materia della vita. Si ride, si arrossisce, si resta soggiogati non dallo sguardo senza pudori, ma dal divertimento linguistico.
Piozzini e Wermelinger
Castelli di sabbia. Sangue Sabbia e altre aride cose
Salvioni Narrativa
Nel Lago Maggiore un cadavere riaffiora in circostanze enigmatiche: sedato, infilato in un salvagente e affondato nella darsena di una villa prestigiosa. L’ispettore Alberto Corti, con l’aiuto dell’anatomopatologo Loculi e del capitano della polizia lacuale, si misura con un’indagine che non concede scorciatoie. In Castelli di sabbia (Salvioni, 2025), il losonese Marco Piozzini e Amédéo Wermelinger, professore a Neuchâtel, costruiscono un intreccio che attraversa la cronaca e si addentra nelle ombre della memoria collettiva, fino a lambire l’eco ancora viva dell’Iniziativa Schwarzenbach. Dopo Lago Maggiore – genesi e Sabbie del passato, premiato allo Stresa 2024, gli autori confermano la loro scrittura solida e tesa, mentre Corti si impone come investigatore capace di leggere le pieghe della storia dentro a un delitto.
Delio Beretta
La Teresa e il Rocco
Sali D’Argento
È un romanzo nato da un vero segreto di famiglia, ma che aspira a far vibrare il cuore di tutti: La Teresa e il Rocco (Sali D’Argento, 2025), romanzo d’esordio di Delio Beretta, riporta ai primi del Novecento nella valle di Blenio una storia di stigma e fughe lontane.
Teresa, marchiata sin dall’origine da una nascita illegittima e da un corpo deforme, incrocia Rocco, giovane impulsivo che preferisce imbarcarsi verso l’Uruguay piuttosto che affrontare una paternità non cercata. Attorno a loro si addensano dialoghi rapidi, battute veloci e una scrittura che procede senza abbellimenti, ma con un sentimento costante di vicinanza e partecipazione. Nessun compiacimento nostalgico: piuttosto il desiderio di dare dignità narrativa a vite marginali, trasformando il segreto bisbigliato da una zia in materia romanzesca. In queste pagine, Delio Beretta, di Leontica – dopo aver composto poesie in dialetto, e aver scritto racconti brevi – mostra come da pochi indizi possa nascere una trama romanzesca che parla al presente, intrecciando, in un piccolo affresco bleniese, l’invenzione narrativa con il filo sottile della memoria familiare, e le miserie alla vitalità con naturalezza disarmante.
 
			         
			         
			        