«Mi raccomando, non dirlo a nessuno»

by azione azione
6 Ottobre 2025

L’importanza di mantenere i segreti raccontata nel libro del sociologo Massimo Cerulo

«Non dirlo a nessuno». Una frase che abbiamo pronunciato tutti nella vita. Condividere un segreto è alla base dell’amicizia, ma è anche un’azione che si compie con un estraneo, per alleggerirsi l’animo. E quante volte abbiamo ascoltato qualcuno che ci confidava qualcosa di privato, ritrovandoci legati in un patto magari imprevisto, desiderato, e a tratti opprimente? Massimo Cerulo, professore ordinario di Sociologia all’Università Federico II di Napoli e chercheur associé al CERLIS (CNRS) dell’Université Sorbonne Paris Cité, ha dedicato al tema un libro, appena pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, intitolato proprio Segreto.

Massimo Cerulo, che cos’è un segreto?
Il segreto è una forma di relazione tra due o più persone che risultano legate da un patto – di segretezza, appunto – su qualcosa che non deve essere detto, raccontato, comunicato. Qualcosa da confessare o custodire, da svilire o proteggere, da occultare o svelare. Qualcosa di cui, in quanto esseri umani e sociali, non possiamo fare a meno: nostra cura e nostro veleno. Tutti conserviamo qualche segreto. Tutti siamo stati nominati custodi da qualcun altro.

Perché i segreti sono importanti?
Perché si tratta di un concetto con cui interagire, fare i conti, vivere in società. Si tratta di un termine operativo, che genera specifici comportamenti e forme di relazione, oscillanti tra la parola e il silenzio, tra il confidare e il tenere per sé. Come chiarito dal sociologo Georg Simmel oltre un secolo fa, se l’associazione umana è condizionata dalla capacità di parlare, viene però formata dalla capacità di tacere. Il segreto si configura così come una forma di relazione che genera, inevitabilmente, inclusione ed esclusione attraverso prove di fiducia: la confessione, la testimonianza, lo svelamento, il tradimento. Gli amanti, le spie, le organizzazioni criminali vivono e fondano la loro esistenza sociale sui segreti. Così come alcune figure professionali – avvocati, medici, farmacisti – chiamate deontologicamente e normativamente a custodire i segreti confidati o svelati dai propri clienti o pazienti.

Quando e come si impara a mantenere i segreti?
Si impara da bambini. Riflettiamoci: di primo acchito, sembra che i bambini non abbiano segreti. Grazie alla loro innocenza, è come se non conoscessero la malizia, il dubbio, l’inganno. Eppure, i segreti albergano nei loro comportamenti sin dalle prime fasi della socializzazione primaria. Non è un caso che, secondo Freud, la prima bugia detta a un genitore rappresenti il primo segreto di un bambino. Testimonia la capacità del piccolo di iniziare a individualizzarsi, a separarsi dal pensiero dei genitori, di incominciare a costruire il «suo» mondo, che sarà vissuto soltanto da lui e dai suoi amici coetanei, attraverso la costruzione di regole e linguaggi sconosciuti agli adulti.

Alcuni segreti possono diventare così pesanti che è meglio raccontarli?
Sì, diventa necessario raccontarli se si vuole continuare a vivere. Si pensi alla favola di Re Mida e al ragazzo che non riesce a reggere il peso del segreto che dovrebbe serbare e corre a gridarlo ai quattro venti: «Re Mida ha le orecchie d’asino!». Siamo un po’ tutti come quel ragazzo, soprattutto nella società digitale che ci invita a raccontare segreti: a postare vite proprie e altrui come se tutto dovesse essere trasparente, visibile, indagabile. Ma questa tendenza è molto pericolosa per il mantenimento del proprio equilibrio individuale, perché soltanto chi riesce a restare in ascolto della propria interiorità, a dialogare con se stesso, a praticare quel «diritto all’opacità» di filosofica memoria avrà la capacità di affrontare il futuro della società digitale senza farsi travolgere da mode e tendenze, ma restando fedele ai propri valori e alla propria storia.

Chi svela un segreto può rimediare in qualche modo?
Non esiste una regola generale. Pensiamo alla figura del custode: come l’onda del mare che lambisce e poi si ritira, chi custodisce un segreto si trova con i piedi sul bagnasciuga: mai completamente asciutti né del tutto bagnati, il custode è a metà tra il dire niente e il dire tutto, detentore di una conoscenza in attesa e vincolato al rapporto che lo lega alla persona che ha confessato il segreto. Un vincolo che potrebbe favorire sia una crescita della relazione, in termini di strutturazione dell’identità, sia una distruzione della propria autostima. Potremmo allora domandarci quale peso abbiano i segreti confessati quando si è presi dalla follia dell’amore, della paura, della solitudine, dell’ubriachezza, della vendetta.

Nella società connessa di oggi è sempre più difficile avere segreti, in particolare per chi è bambino oppure adolescente, nei confronti dei genitori. Perché è importante lasciare a chi sta crescendo degli spazi di segretezza?
Con l’arrivo dell’adolescenza, lo spazio del segreto permette ai ragazzi, nei confronti degli adulti, di fuggire in un luogo protetto da uno sguardo controllore, oppressivo, moraleggiante, condannante. A volte, sprezzante. Ecco perché la camera degli adolescenti simboleggia, materialmente, uno spazio segreto all’interno del quale il giovane fa i conti con la sua identità in divenire. Ed ecco perché è bene che quella stanza resti chiusa, senza che i genitori perseverino in maniera ossessiva e oppressiva nella ricerca della scoperta dei segreti dei figli. Dovrebbero, al contrario, esserne protettori, fare in modo che l’adolescente possa diventare il custode delle condizioni per poter pensare, fantasticare, esistere.

Quali forme assumono i segreti nella società digitale?
Con la presenza sempre più preponderante e, a tratti, oppressiva dei social e dell’Intelligenza artificiale, sembra che mantenere un segreto diventi oggi un’azione quantomeno complicata e, spesso, alquanto faticosa. C’è una corsa all’ostentazione o allo svelamento di presunti segreti come forma di pubblicità personale: delle proprie capacità di conoscere, sapere, diffondere «vizi» o difetti privati in ambito digitale. In tal senso, comunicare qualcosa a un pubblico, anche violando accordi di riservatezza, può essere ritenuto vantaggioso in termini di aumento del proprio capitale reputazionale (aumento di follower e like). Salvo poi pentirsi e ritrovarsi questuanti di nuovi segreti.