Genitori ansiosi e figli fragili

by azione azione
6 Ottobre 2025

Il caffè dei genitori: l’ultimo libro dello psicopedagogista Stefano Rossi riflette sulle ansie dei papà e delle mamme e offre strategie per affrontarle

«L’ansia sta diventando un problema serio sia tra i ragazzi sia tra gli adulti. I dati sulla salute mentale sono sempre più preoccupanti. Non sono in un mood allegro», esordisce la mia amica Barbara a Il caffè dei genitori. Il caffè raccoglie subito il messaggio e rilancia: «Come possiamo salvare i nostri figli dall’ansia, se i primi a esserne corrosi siamo proprio noi?». È la stessa domanda che pone Stefano Rossi, psicopedagogista scolastico e conferenziere tra i più seguiti, di nuovo in libreria dal 26 settembre 2025 con Genitori in ansia (Feltrinelli). «Gli adolescenti della Generazione Z ci stanno gridando, a vari livelli, il loro dolore: dal 2016 a oggi le diagnosi di ansia e depressione sono raddoppiate – scrive Rossi –. E le cronache, così come i report delle scuole e dei servizi sanitari, raccontano sempre più spesso di accoltellamenti, pestaggi, suicidi, perfino omicidi compiuti da ragazzi sempre più giovani». Ma Rossi invita a ribaltare la prospettiva: «Quando ci chiediamo perché i bambini di oggi siano iperattivi, disattenti, reattivi e gli adolescenti ansiosi o autolesionisti, dovremmo guardare dentro di noi. […] Il cuore dei nostri figli batte dentro di noi: la nostra ansia diventa la loro».

È un contagio emotivo che s’infiltra sottotraccia nelle pieghe della quotidianità. Per questo, a Il caffè dei genitori vogliamo provare a rispondere a tre domande: le paure accompagnano da sempre i genitori, ma oggi c’è qualcosa di diverso? Mamme e papà reagiscono nello stesso modo? Quali comportamenti dovrebbero far scattare l’alert? Spoiler: qui non diamo soluzioni (quelle si trovano nel saggio di Rossi). Preferiamo stimolare la riflessione. Per Rossi i genitori di oggi sono l’esatto contrario di quelli di ieri: poche certezze e molti dubbi. La nostra generazione ha abbandonato (per fortuna) il modello autoritario del «devi obbedire» per sostituirlo con la promessa di essere madri e padri più empatici (l’abbiamo visto anche ne Il caffè dello scorso luglio dal titolo «Saper accettare il dolore dei figli»). Ma su come riuscirci siamo ancora in alto mare. I vecchi modelli li abbiamo demoliti, i nuovi non siamo ancora riusciti a costruirli. Di qui, spesso, una sete educativa senza precedenti: una corsa a manuali e corsi online per trovare la formula giusta, che però rischia di aumentare la pressione invece di placarla.

Questa sete comune è la prova di una preoccupazione che madri e padri finalmente condividono. È anche il motivo per cui, come i lettori più affezionati ricorderanno, abbiamo deciso più di un anno fa di trasformare il nome della rubrica da Il caffè delle mamme a Il caffè dei genitori. Tuttavia condividere l’ansia non significa viverla allo stesso modo. Anzi, è qui che emerge una differenza fondamentale. «La fortunata metafora di John Gray degli Uomini che vengono da Marte e delle donne che vengono da Venere vale, ancor di più, per padri e madri – è la convinzione di Rossi –. Padri e madri hanno pari diritti e responsabilità, ma al contempo incarnano un’alterità psichica, perché pensano, sentono e guardano la genitorialità da “pianeti” differenti. […] Mentre i maschi tendono a “comunicare sul fare”, le femmine prediligono il “comunicare sul sentire”».

Così le ansie dei padri sono spesso dettate dall’assenza, mentre quelle delle madri trasudano il desiderio di troppa presenza. «Qual è il mio vero compito?», si domanda il Padre-Disorientato. Se i padri di ieri erano solidi, con poche ma assolute certezze, quelli di oggi si sentono liquidi, privi di riferimenti. «Devo essere severo?», è il dubbio del Padre-Fragile che, più che incutere timore al figlio, ne è succube in nome di una libertà che rischia di crescere un bambino-imperatore. «Non ho abbastanza tempo per stare con mio figlio», è la paura del Padre-Marinaio. E poi «Come si parla a un figlio?», è il tormento del Padre-Muto, che porta dentro di sé la reazione al silenzio dei padri che lo hanno preceduto.

Dall’altra parte, «Non posso vivere senza di te», è l’ansia che trasmette la Madre-Fusionale, che si trasforma in uno schiacciasassi e vive come un abbandono il bisogno di separazione dell’adolescente. «Non puoi farcela senza di me», è l’assillo della Madre-Ansiolitico, troppo presente, troppo crocerossina. «Non sto facendo abbastanza», è infine il pensiero che porta la Madre-Divisa a dire «Non ce la faccio più», attanagliata dalla difficoltà di essere madre senza rinunciare a essere donna.

Eppure, dopo aver tracciato i profili, è lo stesso Rossi a invitarci a superarli. Ammette infatti che oggi ci sono padri che, a dispetto di una certa retorica, hanno un profondo desiderio di essere davvero padri e si pongono domande affettive. Parallelamente, ci sono mamme che, dopo l’euforia della neo maternità, iniziano a vivere la relazione coi figli come un peso, un’àncora che impedisce loro di salpare. Insomma le ansie che abbiamo descritto possono essere intercambiabili. Una su tutte: quella del genitore-vincente: «La paura universale relativa al valore di un figlio (la sua forza, la sua intelligenza, il suo splendore) si addensa da sempre nel cuore di padri e madri. Questa paura domanda al genitore: “Ce la farà, mio figlio? E io, che cosa posso fare per lui?”».

A tutti noi, genitori perennemente in affanno, lo psicanalista Winnicott ricorderebbe che non dobbiamo essere perfetti, ma solo sufficientemente buoni: un invito a smettere di torturarsi e a ricordarsi che la cura della famiglia non può prescindere dalla cura di se stessi. Quante volte ce lo siamo detti? Forse, per farlo, bisogna stare soprattutto attenti – è il monito di Rossi – a non dare ai nostri figli il peggio di noi stessi, gli scarti, l’esaurimento, la stanchezza, l’irritabilità, l’ossessione di un figlio-trofeo come stampella su cui reggere la propria fragile autostima. Tutto fuorché l’ascolto e il tempo di cui hanno bisogno. «A essere iperattivi, esauriti, ansiosi e autolesionisti siamo prima di tutto noi – scrive senza farci sconti lo psicopedagogista –. La nostra ansia diventa la loro ansia. La nostra iperattività diventa la loro. Il nostro autolesionismo diventa il loro. La nostra rabbia diventa la loro». Per poi arrivare al senso di colpa performativo che proviamo il sabato, la domenica e perfino in vacanza.

Ci siamo ripromessi, in questo caso, di non offrire soluzioni. L’antidoto all’ansia ognuno lo deve trovare a modo suo. Già riconoscere quali sono le nostre paure è il primo passo per superarle. Sappiamo però quello che non vogliamo essere: madri e padri che arrancano, soffrono e si disperano perché non riescono a farsi ascoltare da figli, i quali, a loro volta, chiedono solo di essere ascoltati. Riflettiamoci quando non riusciamo a staccarci da mail, progetti, WhatsApp e deadline. Postilla finale: «Spesso, i genitori ansiosi sono i più inclini a una pedagogia del divieto, proprio perché sentono di non riuscire a staccarsi dai figli: nello smartphone di oggi, come nel motorino di ieri, intravedono l’orrore della separazione. Da baluardo di una buona educazione, il divieto del cellulare diventa così un nuovo “cordone ombelicale” per tenere i figli attaccati a sé». Lo stesso fa chi al contrario concede il cellulare, ma per esaudire il proprio perenne bisogno di geolocalizzazione! Ma il controllo nell’assenza, per tenere a bada la propria ansia, in entrambi i casi non fa che scavare una voragine di sfiducia nei figli e, ancora una volta, aumentare la loro ansia. Nello scomposto – e inutile – tentativo di placare la nostra.