Il vero «tesssoro» di Gollum

by azione azione
6 Ottobre 2025

Non condivido le visioni apocalittiche sull’intelligenza artificiale (IA). Concordo con quanto affermava la scorsa settimana su «Azione» Maria Grazia Giuffreda, direttrice associata del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico: «Non credo che l’IA diventerà un’intelligenza indipendente. È uno strumento, sono metodi statistici, sono algoritmi che ci aiutano là dove la mente umana è più lenta. (…) Non c’è dubbio che l’IA possa essere usata anche con scopi nefasti. Quello che mi preoccupa di più, in realtà, è la pigrizia mentale che potrebbe generare nelle nuove generazioni».

Più che per i posti di lavoro che potrebbe divorare, l’IA mi inquieta per la minaccia che rappresenta alla creatività. A Londra, ad esempio, ha sede un’agenzia chiamata Xicoia, che promuove attrici e attori generati dall’intelligenza artificiale. In pratica, crea dal nulla personaggi realistici per aspetto fisico, biografia, voce, personalità e persino arco narrativo. Questi «attori» digitali possono recitare in film, serie TV, podcast e sketch. Come le vere star, gestiscono profili social (TikTok, Instagram, YouTube) con video in cui ammiccano, provano abiti, salutano i fan – pardon, i follower – e si preparano con zelo ai provini. Ma almeno loro, che sono finti, non potevano risparmiarsi e risparmiarci questi stucchevoli teatrini?

Al recente Film Festival di Zurigo, la fondatrice di Xicoia ha dichiarato che diverse agenzie hollywoodiane sono interessate ai suoi affascinanti «clienti». In particolare a Tilly Norwood, creata nel ventre tecnologico di mamma IA come una prodigiosa via di mezzo tra Scarlett Johansson e Natalie Portman. Abbiamo sbirciato il suo profilo Facebook: sì, è bellissima, ma nutriamo seri dubbi sulle sue capacità attoriali. «Non è un rimpiazzo di un essere umano, ma un lavoro creativo, un’opera d’arte, un atto di immaginazione e maestria», ha scritto di recente la sua creatrice, l’attrice olandese Eline Van Der Velden. Mentendo: Tilly non sembra un’alternativa agli attori umani, ma piuttosto la loro serial killer.

Lo dice in modo più diplomatico anche l’attrice inglese Emily Blunt, secondo cui tutto questo è «terrificante, molto spaventoso». E come darle torto? Quanti bravi attori – o aspiranti tali – rischiano di essere spazzati via da queste star virtuali perfettissime?

Tilly potrà essere integrata digitalmente con facilità in scene con attori reali, risultando indistinguibile dagli umani. Non avrà problemi di memoria sul copione, ma non sarà mai fisicamente presente sul set: quante torride storie d’amore nate tra colleghi rischiamo di perderci! E non sarà mai in grado di improvvisare. Robin Williams inventava monologhi, Monica Vitti rispondeva a braccio alle battute di Alberto Sordi, Leonardo DiCaprio continuava a recitare con la mano insanguinata. Con loro, l’imprevisto diventava verità. Tilly, invece, è programmata per non uscire mai dal seminato, per non sbagliare. Ogni battuta è calibrata, ogni espressione ottimizzata. Una perfezione algoritmica che sterilizza la creatività. Può un personaggio che non vive, non sente, non rischia e non sbaglia essere davvero un «interprete»? Le sue performance sono capolavori d’arte o di calcolo?

Se proprio devo scegliere il mio attore IA preferito, voto per Gollum, il personaggio della trilogia cinematografica Il Signore degli Anelli, magistralmente interpretato da Andy Serkis tramite motion capture – una tecnica che registra i movimenti reali degli attori e li trasferisce su personaggi digitali.

Nessuno, all’uscita del film, l’aveva intuito, ma forse per Gollum il vero «tesssoro» non era l’anello della saga di Tolkien, bensì l’attore umano che ha reso il suo personaggio così intenso, credibile e psicologicamente complesso.