Una poesia silenziosa e senza tempo

by Raffaello Magnoni
6 Ottobre 2025

Tutto il talento di Diego Giacometti al Museo d’arte dei Grigioni di Coira

Nel firmamento della storia dell’arte del XX secolo non esiste una costellazione famigliare che brilli con la stessa intensità di quella dei Giacometti. Paragonabile forse unicamente a quella dei Duchamp-Villon, la dinastia artistica dei Giacometti prende avvio con il capostipite Giovanni, figura di spicco, assieme a Cuno Amiet, delle sperimentazioni postimpressioniste in Svizzera tra Otto e Novecento. A lui si affianca ben presto il cugino di secondo grado Augusto, tra i pionieri dell’astrazione nel nostro Paese.

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Nei decenni successivi è invece la figura di Alberto a conquistare un posto di assoluta preminenza nel panorama dell’arte moderna sul filo di una traiettoria che partendo dall’esperienza paterna si avvicina dapprima al surrealismo per poi approdare a una personalissima forma di realismo esistenzialista. Proprio il grande successo internazionale ottenuto da Alberto nella seconda metà del Novecento ha finito tuttavia per eclissare almeno in parte l’opera dei suoi due fratelli minori: Bruno, architetto a cui si devono, tra gli altri, il padiglione svizzero nei Giardini della Biennale di Venezia e l’Hallenstadion a Zurigo e Diego che all’ombra del più rinomato fratello ha vissuto schivo e silenzioso per oltre quarant’anni, contribuendo in modo decisivo alla produzione materiale delle sue opere.

Proprio a Diego, il Bündner Kunstmuseum di Coira dedica ora una mostra che cerca di sottrarlo al cono d’ombra del fratello e che soprattutto vuole affrancare la sua opera da quella minorità a cui le arti applicate sono state condannate fin dal Rinascimento rispetto alle arti cosiddette maggiori o belle. L’intento è quello di far germogliare anche tra il grande pubblico l’interesse e la considerazione di cui l’opera di Diego gode da molti decenni tra le ricche ma ristrette cerchie del collezionismo internazionale. Una considerazione che negli ultimi anni è andata crescendo in maniera esponenziale, tanto che alcuni suoi mobili battuti in asta hanno sfiorato la soglia dei dieci milioni.

Nato nel 1902, appena un anno dopo Alberto, il giovane Diego appare meno deciso riguardo al proprio destino rispetto al fratello maggiore, che negli anni della formazione lo utilizza spesso come modello per le sue opere. A differenza di Alberto, Diego non si sente travolto dall’urgenza della vocazione artistica. Dopo gli studi il suo percorso è ondivago, fatto di attività disparate e di spostamenti continui, che inquietano non poco i suoi genitori riguardo al suo futuro. La stabilità arriva solo sul finire degli anni Venti, quando Alberto, ormai avviato a una carriera di successo come esponente di spicco del Surrealismo, lo invita a raggiungerlo a Parigi, per affiancarlo nella produzione delle sue opere.

Da quel momento Diego, diventa una sorta di alter ego del fratello. Così mentre Alberto lenisce la propria inquietudine esistenziale e nutre la propria creatività con una vita febbrile e sregolata fatta di ore piccole, di sigarette, di alcool e di caffè, Diego segue i ritmi monotoni e regolari di un impiegato che ogni giorno si reca al mattino presto in atelier per contribuire con sapiente manualità e competenza artigianale a dare concretezza agli schizzi e ai bozzetti del fratello, diventando rapidamente un maestro dei calchi in gesso e delle patine. Accanto ai lavori per Alberto, Diego inizia a realizzare anche oggetti e sculture in proprio. Tuttavia per evitare ogni confusione e per non dare l’impressione di voler approfittare della fama raggiunta dal fratello, a partire dal 1938 decide di firmare i suoi lavori semplicemente con il proprio nome, omettendo il cognome.

L’indirizzarsi della sua attività nell’ambito delle arti applicate si spiega con le numerose commissioni che Alberto riceve in quegli anni da Jean-Michel Frank, il più richiesto arredatore d’interni degli anni Trenta, per il quale realizza lampade, vasi e consoles. Le competenze tecniche acquisite e la possibilità di una maggior libertà e autonomia che lo stesso Alberto incoraggia portano così Diego a inoltrarsi sempre di più nel territorio delle arti decorative, anche perché in questo modo non è costretto a confrontarsi con l’ingombrante figura del fratello scultore. La sua produzione degli anni Trenta è però oggi difficile da ricostruire e nella maggior parte dei casi è quasi impossibile stabilire con certezza quale sia stato il suo apporto agli oggetti d’arredo realizzati da Alberto per Frank.

A liberare finalmente la vena creativa di Diego e a favorire lo sviluppo della sua produzione personale saranno paradossalmente gli anni della guerra. Recatosi a Ginevra nel 1942 per incontrare la madre, Alberto non potrà più rientrare in Francia in seguito alla chiusura delle frontiere. Nei tre anni in cui rimane da solo a Parigi, oltre a presidiare l’atelier del fratello, Diego, libero da compiti esecutivi, approfondisce sempre di più la propria ricerca in ambito scultoreo, concentrandosi in particolare sul mondo animale.

Sono di questi anni le quattro sculture degli Uccelli realizzate per il salone dell’amico pittore Francois Gruber, mentre altri animali, tra cui una Pantera, sono al centro della sua prima esposizione personale alla Galerie Barreiro nel 1944. Nel 1945, dopo il rientro a Parigi di Alberto, Diego riprende il suo posto a fianco del fratello e il suo ruolo di factotum. Ma ormai il suo lavoro come decoratore ha cominciato a essere notato. A notarlo per primi sono stati alcuni degli amici e dei collezionisti di Alberto: Pierre Matisse, Aimé Maeght, Heinz Berggruen, Jean Cocteau, Daniel Henry Kahnweiler, Gustav Zumsteg. Sono loro ad affidargli, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la commissione di mobili e arredi per le loro raffinate abitazioni o per luoghi pubblici iconici come la sede della Fondazione Maeght a Saint-Paul-de-Vence o il bar del ristorante Kronenhalle a Zurigo.

La riscoperta della civiltà etrusca a metà degli anni Cinquanta, con la grande mostra ospitata a Zurigo, Milano e Parigi, rappresenta un momento importante per la definizione dello stile di Diego, nel quale semplicità rurale e arcaismi primitivi si mescolano per dar vita a uno linguaggio scultoreo personalissimo in perfetto equilibrio tra antichità e modernità. Percorrendo le sale del Museo di Coira, nelle quali le opere di Diego sono spesso affiancate a quelle del padre e del fratello, appare chiaro che i suoi mobili, soprattutto le sue splendide consoles dalle linee filiformi popolate di forme animali e vegetali, non sono solo pezzi di arredo, ma sono vere e proprie sculture. Sculture intrise di una poesia silenziosa e senza tempo.

Dove e quando
Diego Giacometti, Coira, Museo d’arte dei Grigioni. Fino al 9 novembre 2025. Orari: ma-do 10-17; gio 10-20; lu chiuso. kunstmuseum.gr.ch