Difesa della memoria e sguardi che bucano il reale

by azione azione
29 Settembre 2025

In attesa del FIT, a colloquio con la direttrice artistica Paola Tripoli

Appuntamento prestigioso e atteso, dal 3 al 12 ottobre torna a Lugano il Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea (FIT) organizzato in collaborazione con il LAC. Con 15 spettacoli e 29 repliche, per 10 giorni Lugano accoglierà artisti e performer fra i più interessanti e innovativi provenienti da undici paesi per un’edizione, la 34esima, dedicata al tema della memoria con un’immersione nel presente.

Anche quest’anno saranno in scena spettacoli, incontri e progetti collaterali rivolti a pubblici differenti, una progettualità che ha convinto l’Ufficio federale della cultura che ha conferito al FIT il Premio svizzero delle arti sceniche 2025 per la sua importanza e per il valore dei suoi progetti di mediazione culturale. È il marcato profilo che Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT dal 2005, ha voluto dare al festival con tematiche legate alla contemporaneità.

La incontriamo alla vigilia della manifestazione.

Paola Tripoli (UFC/Charlotte Krieger)

Perché hanno aspettato così tanto a darvi un riconoscimento a livello nazionale? Più che un ritardo ci sembra la solita distrazione che accompagna quanto accade nella nostra regione… La dimenticanza non l’attribuisco a livello federale. Anzi, secondo me il riequilibrio accade proprio lì e se non avvenisse, qui da noi saremmo, senza esagerazione, non dico dimenticati, ma trattati come quelli che comunque ce la farebbero lo stesso con quello che hanno. A livello nazionale c’è invece un’attenzione. In Ticino la situazione non è cambiata molto. Ci stanno provando, ma i tempi sono lunghissimi. Mi rendo conto delle difficoltà di fare politica, di dare risposte a esigenze reali. Come se questa non fosse un’esigenza reale…

Andare a teatro è un’esigenza di questa città, come si dimostra con il LAC: dieci anni fa chi avrebbe immaginato che sarebbe diventato così? La gente ne ha voglia e così è diventata un’esigenza reale. Per il resto rimaniamo quelli che fanno quello che devono fare con ciò che hanno, siamo ancora percepiti come quelli che fanno un «non lavoro». Se in ambito politico qualcuno cominciasse a rivendicare che fare cultura indipendente è un mestiere, forse la comunità comincerebbe a capirlo.

Che cosa manca affinché questo discorso attecchisca?
Un po’ è colpa nostra e un po’ è colpa di una politica che non interviene come dovrebbe. Ripeto, adesso alcune cose sembra stiano cambiando nei confronti della cultura indipendente. Certe parole vengono pronunciate come non avveniva prima. Il problema è che alle parole devono seguire i fatti e non si può aspettare troppo. Quando a livello nazionale racconto con quale budget lavoriamo strabuzzano gli occhi. È una realtà che trascina tutta una serie di cose, dai salari alla sicurezza sociale…

Sono 10 anni che il FIT collabora con il LAC: un percorso ancora lungo? Io ringrazio il fatto che esista il LAC. Non sono più i tempi di Vania Luraschi in cui il festival ha avuto un peso importantissimo. Il mondo è cambiato anche da noi e senza il LAC sarebbe stato molto difficile. Quindi, con tutte le critiche che si possono fare, penso che per il FIT sia stata una grande opportunità. Convincerlo non è stato difficile.

Ovviamente dietro a tutto ciò ci stanno le persone. Il LAC di 10 anni fa era quello di Carmelo Rifici ed è stato semplicissimo. Dall’altra parte c’ero io e si sono incontrate due persone che avevano voglia di parlarsi nel rispetto e nella reciproca autonomia fin dal primo giorno. E ancora oggi non c’è nessun tipo di ingerenza o pressione. Il LAC – non la Città – mette a disposizione delle risorse in termini di servizi (sale, tecnica, ecc.). A volte capita che ci siano spettacoli previsti nella sua stagione, quindi interamente pagati dal LAC, che altrimenti non ci saremmo mai potuto permettere e che insieme abbiamo pensato di collocare nel FIT (come ad esempio Bérénice di Romeo Castellucci nel 2024, NdR).

Che tipo di sguardo ha il FIT nei confronti del resto della Svizzera?
Sono molti gli artisti svizzeri che prendiamo, certamente non tantissimi, ed è una scelta curatoriale, dal momento che vorrei dare un’idea di diversità del panorama europeo.

Che tipo di attenzione c’è invece rispetto alle produzioni del teatro indipendente della nostra regione?
Faccio scelte in linea con la mia idea di teatro. Gli spettacoli della Svizzera italiana li vedo tutti in quanto faccio parte dell’antenna locale del «Jury Poker» del Theatertreffen. Devo anche dire che poi entrano in gioco anche altri fattori come le regole legate ai sussidi cantonali. Ma soprattutto le scelte si basano su ciò che ritengo più interessante per il FIT.

L’editoriale di questa edizione parla di una memoria che si vuole cancellare. Una memoria emotiva breve, che non accumuliamo e che è fatta di emozioni residue.
È un guardare ciò che sta accadendo nel mondo e non capire più che cosa si può fare davanti allo sfacelo totale.

Si riesce ancora a riconoscere dove finisce la propaganda e dove cominci la verità nei confronti della memoria?
Credo di sì. Magari non tutto, qualcosa sfugge. Penso di avere la capacità di leggere queste cose. Siamo diventati talmente bravi a mentire che ogni tanto sfugge ai più attenti cosa sia menzogna e cosa sia invece verità. Poi è ovvio che non sono neutrale, quindi a volte devo fermarmi e capire se non è la mia visione che prevale. I dubbi vengono continuamente. È talmente tutto così fraudolento che non ci si può più fidare di nessuno.

Attraverso le proposte del FIT come emerge il concetto di memoria?
A differenza delle passate edizioni ci sono artisti che portano dati incontrovertibili. Per carità, tutto si può sovvertire, ma se ci sono spettacoli che si basano su documenti credo che un’idea di memoria a cui credere venga comunque fuori. Anche se su un palcoscenico qualcosa di falso ci sarà: fa parte dello spettacolo, dei meccanismi del teatro.

L’editoriale si conclude con questa frase: la realtà è pornografica mentre il teatro è un atto di pudore. E il pudore oggi è un atto di resistenza…
Basta guardare un telegiornale per capire quanto la realtà sia pornografica. Tutto quello che accadeva sul palco negli anni ’70 per alcuni era considerato pornografico mentre il pudore stava a casa. Oggi tutto è sovvertito ed è preoccupante. Quello che accade oggi è aberrante e qualsiasi aberrazione per me è pornografica. Non c’è più pudore per il dolore, non c’è più pudore per nulla. Invece gli artisti ce l’hanno ancora e in questo momento è una cosa bella.

Dove e quando
FIT, Festival internazionale del Teatro 2025, 3-12 ottobre. fitfestival.ch