Nel 1925 giunsero nella cittadina sul Verbano i principali ministri degli esteri europei per sancire la volontà di pace
All’indomani della grande guerra del 1914-18, buona parte dell’Europa esce devastata e moralmente stremata. Si è calcolato che il conflitto avrebbe lasciato sul terreno dagli otto ai dieci milioni di morti e non meno di 21 milioni di feriti. A ciò si aggiunsero le vittime di un micidiale ceppo virale, noto come «grippe spagnola». La guerra era sì terminata tra le potenze dell’Intesa e gli imperi centrali, ma non per questo il Continente aveva raggiunto un nuovo e più stabile equilibrio. Infatti il ridisegno geopolitico prodotto dall’armistizio aveva generato nuovi focolai di tensioni: a ovest l’Alsazia Lorena rimaneva contesa tra la Germania e la Francia. Regione ricca di carbone, nel 1923 fu occupata dalle truppe francesi e belghe. Ad est nascevano nuovi stati, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia, i Paesi baltici, il Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni. Ma anche qui il Trattato di Versailles poneva le premesse per nuovi conflitti, perché il corridoio di Danzica che divideva in due la Germania sarebbe diventato uno degli argomenti della propaganda nazista, così come i Sudeti in Cecoslovacchia, regione abitata in prevalenza da tedeschi. Ma precedentemente la Russia post-rivoluzionaria era precipitata in una guerra civile, con gli anti-bolscevichi appoggiati dalle potenze occidentali.
In Germania e Ungheria sorsero movimenti comunisti che avrebbero voluto ricalcare il modello bolscevico, come quello spartachista di Rosa Luxemburg, poi represso nel sangue. In Italia c’era stato il biennio rosso nelle fabbriche del nord, ma nel contempo la fondazione dei primi fasci di combattimento a Milano e la spedizione di Fiume organizzata da reduci e dal vate, il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio. Insomma, una guerra dopo la guerra, come ha definito questo periodo lo storico Robert Gerwarth nel saggio La rabbia dei vinti. D’altra parte Versailles apre il secolo americano: l’Europa non è più l’epicentro dell’ordine mondiale. Alle porte di Parigi si riunirono nel 1919 i rappresentanti delle potenze vincitrici della grande guerra, tra cui i dirigenti dei quattro stati principali: Wilson per gli Stati Unti, Lloyd George per il Regno Unito, Clemenceau per la Francia e Orlando per l’Italia. Fu soprattutto la Francia, sull’onda di un radicato risentimento revanscista, a voler imporre alla Germania un pesante fardello di risarcimenti, le cosiddette riparazioni di guerra. Inoltre le potenze vincitrici imposero alla Germania di ridurre all’essenziale l’esercito, le navi da guerra, e di rinunciare alle colonie. Un fardello che l’economista inglese John Maynard Keynes, presente alla conferenza come rappresentante del Tesoro inglese, ritenne inapplicabile, ingiusto e irrealistico, giacché avrebbe piegato l’economia tedesca per decenni e alimentato una nuova ondata di risentimenti anti-francesi, cosa che puntualmente avvenne. Di questa sua esperienza ci ha lasciato un libro diventato celebre e ancora oggi citatissimo: Le conseguenze economiche della pace.
La Svizzera era consapevole di dover contribuire in un modo o nell’altro all’opera di pacificazione nel Continente attraverso i suoi buoni uffici. Nel 1920 anche questa piccola Repubblica nel cuore dell’Europa aveva deciso, pur tra molti dubbi, di aderire alla Società delle Nazioni, con la riserva di agire sotto uno statuto particolare, noto come neutralità differenziata. Insomma, neutralità non doveva significare disimpegno, ma partecipazione attiva alla ridefinizione della geopolitica continentale. Di qui la scelta di Locarno, retta da un sindaco, Giovan Battista Rusca, che non faceva mistero delle sue convinzioni europeiste. Alla metà di ottobre del 1925 convennero dunque nella cittadina sul Verbano i principali ministri degli esteri: il francese Aristide Briand, il tedesco Gustav Stresemann e l’inglese Austen Chamberlain. Per l’Italia giunse Benito Mussolini, con l’intenzione di contrastare l’eventuale annessione dell’Austria da parte della Germania e di consolidare la frontiera del Brennero. Cuore del Trattato fu la smilitarizzazione della regione renana, in particolare la rinuncia, da parte della Germania, ad annettersi l’Alsazia-Lorena, la regione che fin dall’Ottocento era sempre stata al centro di una mai sopita contesa. Il trattato prevedeva inoltre l’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, cosa che avvenne nel 1926.
Insomma, mai più guerre lungo il Reno tra la Germania e Francia/Belgio, con la Gran Bretagna e l’Italia nella funzione di garanti e di arbitri in caso di controversie (Patto renano). «Esprit de Locarno» divenne dunque sinonimo di distensione e riconciliazione tra potenze che pochi anni prima si erano scannate nelle trincee. Tutti e tre i protagonisti ricevettero in seguito il Nobel per la pace. Sull’importanza del Patto gli storici esprimono pareri divergenti. In molti manuali scolastici il patto di Locarno non è neppure citato. Questo perché quella fase di pacificazione è stata giudicata effimera, un’illusione, una luce che si spense ben presto dentro un nuovo groviglio di tensioni. Per altri fu invece un passo necessario, seppure provvisorio, sulle vie della pace in un Continente in cui la guerra aveva lasciato tracce profonde: morti, devastazioni, città distrutte, il diritto internazionale calpestato, com’era stato il caso per il Belgio. Recuperare al concerto delle Nazioni la bellicosa Germania fu fondamentale, anche se poi le cose presero un’altra piega dopo la caduta della Repubblica di Weimar nel gennaio del 1933. Ricorda Ian Kershaw nel suo vasto affresco All’inferno e ritorno. Europa 1914-1949: «…il miglioramento della situazione internazionale creato dallo “spirito di Locarno” permetteva agli europei di sperare in una pace duratura. I francesi erano soddisfatti: adesso la Gran Bretagna garantiva formalmente la loro sicurezza. Per Briand era questo il guadagno essenziale.
La Gran Bretagna salutò con favore la distensione e la limitazione delle sue future responsabilità in Europa alla frontiera del Reno. Per Stresemann, Locarno era una tappa indispensabile verso l’obiettivo di più lungo periodo della rinascita della Germania». In sintesi si può dire che il successo prima e l’eclisse poi di Locarno coincisero con la parabola della Società delle Nazioni. Ma in quel momento non si pensava che l’Europa sarebbe precipitata in una nuova e ancor più terribile catastrofe mondiale. Riaccogliere la Germania nel novero delle Nazioni civili dopo le atrocità belliche non era scontato. I vincitori, con in testa la Francia, avevano le loro buone ragioni per escluderla dai Paesi civilizzati e per metterla in ginocchio imponendole pesanti sanzioni. A Versailles era prevalsa la linea inflessibile, punitiva. Ma anche l’Italia era scontenta per come erano state accolte le sue rivendicazioni sull’Istria e la Dalmazia. Superare tutti questi interessi e propositi vendicativi non fu facile e molte questioni rimasero irrisolte sul tavolo delle trattative. Una su tutte: le agitazioni che stavano lacerando la fragile Repubblica di Weimar e che qualche anno dopo avrebbero portato i nazisti al potere.
 
			         
			         
			        