Il professor Nenad Stojanović ci spiega il senso e gli obiettivi del progetto Demoscan che mira a sviluppare nuove forme di partecipazione democratica
Aprile 2022. Bellinzona entra ufficialmente a far parte del progetto Demoscan ideato e guidato dall’Università di Ginevra con l’obiettivo di rafforzare la partecipazione delle cittadine e dei cittadini alla vita politica del Paese. Il progetto, da quell’aprile, si è ulteriormente espanso, i risultati sono incoraggianti e attualmente è in corso un sondaggio tra 10’000 cittadini dei cantoni Ticino e Vallese i cui risultati saranno resi pubblici entro la fine di quest’anno. Ciononostante la risposta di molti analisti politici alla domanda «La democrazia o, meglio, la partecipazione dei cittadini alla vita politica così come prevista in democrazia è oggi in crisi?» resta affermativa. Disaffezione e sfiducia della popolazione nei confronti della classe politica che essa stessa ha eletto sono infatti piuttosto evidenti. Eppure basta andare sul sito ch.ch per scoprire che – eccezion fatta per Appenzello interno (-24,2%); Ticino (-1,6%); Vaud (-1,2%) e Vallese (-5,4%) – in tutti gli altri Cantoni i votanti nel 2023, rispetto alle elezioni federali del 2019, sono aumentati al punto che la media dei votanti in Svizzera risulta addirittura progredita passando dal 45,1% di elettori del 2019 al 46,7% del 2023, ovvero +1,6%. Questo, però, è il bicchiere mezzo pieno. Le cifre, pur parlando di una minima ripresa, ci dicono che nel 2023 ha votato meno della metà degli aventi diritto. Ne abbiamo parlato con Nenad Stojanović che è professore associato al Dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali e all’Istituto studi sulla cittadinanza dell’Università di Ginevra oltre che direttore del Polo di ricerca sulle innovazioni democratiche (PIDEM) .
Professor Stojanović, lei che lettura dà di questi dati? 
Li leggo cercando di metterli nel loro contesto e il contesto è quello che, da una quarantina d’anni a questa parte, vede una stabilizzazione della media dei cittadini votanti nelle elezioni al Consiglio nazionale: il 46,5% nel 1987, il 46,7% nel 2023. Certo, durante questo periodo ci sono state delle oscillazioni, con punte fra il 42,2 e il 48,5%, ma possiamo dire che l’affluenza è stata grosso modo relativamente stabile. Ma le percentuali decontestualizzate possono trarre in inganno. Mi spiego. Se fissiamo la nostra attenzione sul 46,7% di cittadini che hanno votato alle elezioni federali del 2023 allora sì, ha votato meno del 50% della popolazione, ma se noi inseriamo questa percentuale nel contesto di un anno nel corso del quale il cittadino svizzero è chiamato a votare di regola da tre a quattro volte ecco che la percentuale che ne esce è ben diversa. Sull’arco di una legislatura circa l’80% dei cittadini svizzeri esprime la sua opinione nell’urna almeno una volta. Solo circa il 20% non vota mai. Quando ci si stupisce vedendo che in Belgio la percentuale di votanti è quasi del 90%, non ci si deve dimenticare che in Belgio il voto è obbligatorio e concentra in una sola giornata, ogni quattro anni, le elezioni del parlamento federale, dei parlamenti delle tre regioni e dei parlamenti delle comunità linguistiche. Quindi è naturale che in quella giornata elettorale l’affluenza sia così alta! In Svizzera, invece, abbiamo la fortuna di poter votare più volte ogni anno. A dover preoccupare è piuttosto il calo di partecipazione alle elezioni cantonali, fenomeno inquietante in grandi Cantoni come Zurigo (dove a stento si raggiunge il 35%), ma che per il momento risulta ancora contenuto in Ticino.
L’associazione Demoscan, della quale lei è copresidente, si è posta come obiettivo quello di sviluppare nuove forme di partecipazione democratica per ridare al cittadino quella centralità che sta perdendo. Pensa davvero che una miglior interazione tra la base e i suoi rappresentanti possa riequilibrare una situazione che sembra compromessa? 
Penso che tutto dipenda da dove parte il nostro ragionamento, ovvero se pensiamo che sia ormai troppo tardi o se pensiamo valga la pena individuare dove s’inceppa il meccanismo. Vede, la democrazia è stata una grande rivoluzione che ha sancito il principio che ogni persona umana ha pari dignità degli altri cittadini e delle altre cittadine. Quando nel 1848 fu introdotto in Svizzera il diritto di voto alla maggior parte dei cittadini maschi, analfabeti o professori universitari che fossero, ci furono non poche contestazioni, ma il principio si affermò. Adesso che il diritto di voto è acquisito, tranne che per i minorenni e per i residenti senza la nazionalità svizzera, è ben chiaro che chi crede nell’idea democratica non si senta troppo rappresentato da chi si mette a disposizione dei partiti solo per promuovere i propri interessi. Come evitare che ciò accada? Con Demoscan siamo andati a riscoprire il metodo antico del sorteggio, quello che Aristotele vedeva come uno degli elementi essenziali della democrazia, e l’abbiamo applicato in quei Cantoni, in quelle Città e in quei quartieri nei quali abbiamo proceduto a sperimentare, con assemblee e forum, la partecipazione diretta dei cittadini su temi federali. Sia a Zurigo sia a Sion come ad Araau e Bellinzona ciò che ci ha maggiormente impressionati è stato l’entusiasmo, la soddisfazione e l’impegno delle persone coinvolte. Senza contare che, grazie al sistema del sorteggio, abbiamo trovato tra i partecipanti molte persone che da tempo non votavano più, ma estremamente propositive e informate.
Ma chi gestisce i sorteggi e le proposte operative dei cittadini? Si arriverà all’eliminazione dei partiti? 
Nessuno pensa di eliminare i partiti. Semplicemente si sta cercando una migliore interazione tra i partiti e i cittadini. Poi, per quel che concerne il progetto Demoscan, è evidentemente necessario prevedere un minimo di staff organizzativo: per le procedure di sorteggio, per la scelta dei partecipanti tra coloro che si mettono a disposizione, per condividere con i politici le proposte dei cittadini. Se vogliamo migliorare la democrazia e la partecipazione democratica penso che quello dello staff organizzativo sia un investimento che va fatto. Sul tema abbiamo già avuto dei colloqui con i parlamentari federali. Alcuni si sono detti interessati e aperti, altri si sono sentiti se non minacciati almeno sminuiti. «Perché – ci è stato chiesto – vi occupate di queste cose? Quello dei costi della salute è un problema che dobbiamo risolvere noi, non i cittadini». Penso sia importante che partiti e politici capiscano che assemblee e forum dei cittadini non hanno come obiettivo l’abolizione del sistema, ma il suo miglioramento.
Lei a cosa attribuisce lo scollamento sempre più evidente tra ciò che la maggioranza dei cittadini sente come problema vero e le priorità fissate dai politici? 
Prima di risponderle in modo franco tengo, anche in questo caso, a contestualizzare la mia risposta che arriva in un Paese, la Svizzera, che rispetto a tutti gli altri Paesi democratici può vantare il più alto livello di fiducia delle persone nelle istituzioni politiche. Certo, potrà dirmi che anche in Svizzera, negli ultimi anni, se consideriamo il Consiglio federale, c’è stata una perdita di fiducia, ma è un’inezia rispetto a quanto registriamo, ad esempio, in Francia o in Italia. Detto questo penso che lo scollamento sia dovuto principalmente al fatto che una volta elette, molte persone si sentano parte di una specie di club esclusivo, una società nella società dove da cittadino sei passato ad essere onorevole ed onorato: con aperitivi, pranzi, cene, consigli d’amministrazione, regalie di vario genere. Un sistema che intorpidisce le possibilità di soluzioni valide per tutti.
Lei pensa che oggi, nonostante i sentimenti di impotenza che molti cittadini (non solo svizzeri) provano di fronte all’inazione in ambito umanitario (da Gaza al Sudan fino ai migranti lasciati a morire in mare) ci sia spazio per la fiducia in nuovi approcci partecipativi e decisionali? 
Lo spazio c’è di sicuro. Consideriamo quali sono le alternative rispetto allo status quo. Rassegnarci a non fare niente? Demandare tutto a proteste di piazza o a iniziative popolari che, proprio per i tempi lunghi che le caratterizzano, sono spesso destinate al naufragio? Oppure provare a percorrere nuove vie che, partendo dal basso, possano ridare forza a una democrazia riportandola ad essere quella forma di governo che ci ha permesso di essere quello che siamo: cittadini liberi, esseri umani? Noi con Demoscan abbiamo scelto questa via.
 
			         
			         
			        