ONU, il frinire del grillo parlante

by azione azione
22 Settembre 2025

Negli ultimi tre anni, i momenti vicini al silenzio delle armi sono stati pochissimi. Nel marzo 2022, colloqui diretti in Bielorussia e poi a Istanbul portarono Mosca e Kiev a ragionare su una promettente bozza di trattato, che fallì per i reciproci puntigli di Putin e Zelensky. In Medio Oriente, invece, il 19 gennaio 2025 fu annunciato un accordo in tre fasi tra Israele e Hamas, mediato da Qatar, Stati Uniti, Egitto e Turchia. Anche questo fallì, a causa delle divisioni interne in Israele e del rifiuto di Hamas di rinunciare alla lotta armata. Forse, in quelle due occasioni, si è davvero sfiorata la pace. Per il resto, è stato tutto un bla bla.

Ma sperare si spera sempre, di settimana in settimana. Così, da oggi, si apre a New York l’80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ribattezzata High-Level Week, con un nuovo incontro Trump–Zelensky e discorsi dei leader dei principali fronti caldi del pianeta.

Certo, l’ONU metterà in vetrina le crisi in corso, ma è lontanissima dal risolverle. Israele l’accusa di antisemitismo e parzialità (tesi sostenuta anche da Trump). I palestinesi non possono partecipare al summit «per ragioni di sicurezza», come ha spiegato il Dipartimento di Stato americano. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Russia ha bloccato tutte le risoluzioni che condannavano l’invasione dell’Ucraina. La Cina si finge neutrale, ma manovra per profilarsi come mediatore globale alternativo. E, da quando sono guidati da un nuovo presidente, gli Stati Uniti si sono ritirati da diverse agenzie ONU, tra cui l’UNESCO, il Consiglio per i Diritti Umani e l’UNRWA, l’agenzia per i rifugiati palestinesi. In mezzo a questi giganti malmostosi, l’Europa ha il peso specifico di un moscerino, figuriamoci la Svizzera. Ditemi voi come si farà, nei giorni a venire, a immaginare la pace fra veti incrociati, veleni e fantasmi.

Mi dispiace molto per il pianeta, ma un pizzico anche per il leader sovranazionale meno ascoltato del globo: il segretario generale dell’ONU, António Guterres. Campione mondiale, dopo san Giovanni Battista, nella specialità olimpica della vox clamantis in deserto, con le sue commoventi richieste per una «pace giusta», fondata sul rispetto del diritto internazionale e della Carta ONU, e la sua fede incrollabile nel multilateralismo come antidoto al caos geopolitico. Non lo ascolta nessuno, ma ha fegato.

L’ONU non riuscirà a fermare le guerre finché non verrà profondamente riformata. Senza l’accordo delle grandi potenze, ha un potere operativo quasi nullo. I cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito) possono bloccare qualsiasi risoluzione, anche in caso di genocidio o aggressione: l’abbiamo appena visto. E se le tagliano i contributi, come ha fatto l’America di Trump, le sue agenzie umanitarie ne escono azzoppate, con conseguenze strazianti per milioni di persone. Eppure, l’ONU è capace di mettere attorno a un tavolo Paesi democratici e regimi autoritari. Tiene aperti gli scalcagnati canali diplomatici, stila studi indipendenti che a partire dai fatti distinguono le vittime dai carnefici (come l’ultimo su Israele) e i suoi tribunali condannano autori di genocidio o crimini contro l’umanità. Va riformata ora? Magari! Tecnicamente è possibile, politicamente no.

Teniamoci stretti, per ora, il suo frinire da grillo parlante, il suo stridere di gesso sulla lavagna che irrita i timpani dei violenti e dischiude qualche speranza alle loro vittime. Se nel suo insieme riesce a fare poco, perché si sabota da sola, che almeno la maggior parte dei suoi Paesi membri (Svizzera inclusa, please), indeboliscano i leader abbruttiti con iniziative forti e coraggiose, smettendo di sostenere con qualsiasi mezzo (armi e affari in particolare) i criminali impuniti e impudenti al potere.