"Donetta Vintage" mette in dialogo le immagini originali del fotografo bleniese con le reinterpretazioni di Flammer e le stampe digitali di Spinelli
La mostra Donetta Vintage alla Casa Rotonda di Corzoneso-Casserio, oltre a offrirci alcune immagini (quasi) sconosciute del Rubertùn, vuole sottolineare tre importanti anniversari.
Donetta Vintage conferma come l’opera del Rubertùn continui a generarenuove prospettivee inattesi racconti visivi
Dapprima i 160 anni dalla nascita del fotografo bleniese (Biasca, 6 giugno 1865); poi i 125 anni dall’inizio della sua tormentata avventura artistica, avviata grazie allo scultore Dionigi Sorgesa, nativo anch’egli di Corzoneso, il quale a Roberto Donetta affittava una rudimentale apparecchiatura fotografica per 5 franchi l’anno prima di emigrare a Nizza, dove – pare – fu poi ucciso da un rivale in amore. Infine i 20 anni dall’apertura ufficiale della Casa Rotonda (2 luglio 2005), che diede un impulso decisivo alla ri/scoperta dell’opera donettiana, già avviata qualche tempo prima con esposizioni (Il Ticino e i suoi fotografi, Museo Cantonale d’Arte, 1987), con i saggi di Alberto Nessi (Fermare il tempo), e con diversi servizi giornalistici: di Luca Patocchi (Come una biografia, 2000) e, tra gli altri, di Antonio Mariotti (La fatica di fotografare, La fotografia ritrovata), quest’ultimo poi divenuto genius loci delle attività legate alla Casa-Museo di Casserio.
Donetta Vintage è altresì un omaggio al compianto Alberto Flammer (1938-2023): il fotografo locarnese, con un lavurà basctard – come ci ripeté varie volte – fu in grado di riprodurre le foto di Donetta dalle lastre ritrovate per caso nella sua ultima dimora di Casserio, da Mariarosa Buzzini, e miracolosamente sopravvissute dopo oltre mezzo secolo di oblio. «Flammer si rinchiude nella sua camera oscura per intere giornate e si china sulle lastre alla ricerca della massima nitidezza: una chimera infida e sfuggente a causa della bassa sensibilità delle emulsioni utilizzate da Donetta, della scarsa luminosità dei suoi obiettivi, delle infiltrazioni di luce nei suoi apparecchi di legno e dei lunghi tempi di esposizione cui era costretto e che non facilitavano certo l’immobilità assoluta dei suoi soggetti, nonostante le sue spesso burbere raccomandazioni». Così leggiamo nel Catalogo che accompagnava l’esposizione Fieno ombra cenere (Casserio, 2011) il cui titolo proveniva da un racconto di Alberto Nessi, grande estimatore del Rubertùn.
In quella occasione, Flammer volle per così dire strafare e inseguì l’idea di isolare alcuni dettagli delle immagini originali di Donetta: ha prodotto degli impeccabili ingrandimenti su carta baritata, li ha sbianchiti rendendo di nuovo sensibili i sali d’argento anneriti durante il processo di sviluppo, per poi effettuare un viraggio attraverso una soluzione di solfuro di sodio. «Una personalissima rilettura dalla quale – annota ancora Mariotti – emergono alcune porzioni scelte in maniera arbitraria ma ben ragionata da un collega che conosce perfettamente l’opera del loro autore».
Dei vari dittici, purtroppo, sono andate perse le stampe flammeriane dei dettagli. Per ricostituirli nella loro unità si è dunque dovuto ricorrere all’attento lavoro di stampa – questa volta realizzato in digitale, ma si tratta pur sempre d’un lavurà basctard! – del collega fotografo Stefano Spinelli (nome ben noto ai lettori di «Azione»).
Accanto ai sorprendenti dittici – con i dettagli nei quali è facile notare la maestria di Flammer e l’accuratezza del suo lavoro – ecco alcune cartoline postali realizzate da Donetta, un’altra sua infelice avventura finanziaria: ne fece stampare un numero iperbolico che restò in buona parte invenduto, nonostante una di queste fu pubblicata dal settimanale «Illustré», all’epoca popolarissima rivista diffusa in tutta la Svizzera.
Sono ormai numerose le mostre di Corzoneso dedicate al padrone di Casa Donetta, ma sembra che il Rubertùn abbia sempre modo di sorprendere il visitatore.
 
			         
			         
			        