Dazi americani: dalla padella alla brace?

by azione azione
1 Dicembre 2025

La dichiarazione d’intenti, firmata il 14 novembre dalla Svizzera con gli Stati Uniti, che prevede una riduzione del livello dei dazi dal 39 al 15% è stata inizialmente accolta in Svizzera con una gran respiro di sollievo. Non bisogna essere né degli economisti, né dei manager del settore industriale per capire che le esportazioni del nostro Paese verso gli Stati Uniti sono molto importanti per la nostra economia e che un livello dei dazi al 39% rischiava di mettere in crisi più di un settore. Soprattutto perché ai Paesi dell’Ue che sono i diretti concorrenti dei nostri esportatori, il presidente Trump aveva concesso un livello di dazi del 15%. Ora, se la dichiarazione d’intenti sarà tradotta in fatti concreti, le aziende esportatrici svizzere ritroveranno la loro capacità concorrenziale nei confronti delle aziende dell’Unione europea sul grande mercato americano. Una settimana più tardi, nel momento in cui scrivevamo questo articolo, il tono delle reazioni sembrava però essere cambiato di molto.

Se dall’economia, e in particolare dalle organizzazioni del settore industriale, continuano ad arrivare commenti positivi – con la notevole eccezione di Nick Hayek, il patron della Swatch – dai partiti sta giungendo invece più di un monito. A molti dei nostri politici non è piaciuto il modo con cui si è arrivati alla firma della dichiarazione d’intenti. C’è addirittura chi parla di un ricatto da parte del Governo statunitense al quale Berna non avrebbe in nessun caso dovuto cedere. Non si può negare che, per raggiungere i loro scopi, gli americani abbiano fatto pressione sui rappresentanti della Confederazione elvetica mettendoli davanti a una soluzione senza alternative praticabili: «O mangi questa minestra o salti dalla finestra». Ma proprio per questa ragione non si può, nella valutazione dei risultati raggiunti, dimenticare il costo economico di un possibile salto dalla finestra. Si parla di rilevanti cali della cifra d’affari e di licenziamenti nell’industria di esportazione.

Le statistiche ci avvertono che 7 settimane di applicazione dei dazi al 39% sono bastati per far registrare al nostro Pil una contrazione dello 0,5%. Sembra poi che molte aziende stavano già esaminando la possibilità di spostare, in parte o totalmente, la loro attività negli Stati Uniti. Dai politici vengono ancora proteste per le condizioni inserite nella dichiarazione d’intenti, in particolare per l’obbligo che la Svizzera si è assunta di importare prodotti che non corrispondono ai nostri standard di consumo. Infine resta aperta la questione dei 200 miliardi di investimenti che le aziende svizzere dovrebbero investire nell’economia americana nei prossimi tre anni. Per il momento questa promessa non ha suscitato molti dibattiti. Come se 200 miliardi fossero noccioline. Non sarà invece facile soddisfare questa condizione. È vero che ci sono già rami di produzione, come le raffinerie dell’oro, che sono pronti a spostare parte della loro produzione negli Stati Uniti o, comunque, ad effettuare rilevanti investimenti in quell’economia. È pure vero che la fetta maggiore degli investimenti, reclamati da Trump e compagni, dovrebbe venire dall’industria farmaceutica che non è mai a corto di mezzi. Ci si può comunque chiedere se le aziende svizzere esportatrici sapranno assicurare investimenti negli Stati Uniti dell’ordine dei 70 miliardi annuali per i prossimi tre anni. C’è da credere di sì, altrimenti il nostro ministro dell’economia non avrebbe firmato la dichiarazione di intenti. Tuttavia è possibile mantenere qualche riserva. Infatti, se per gli investimenti annuali nell’economia degli Stati Uniti i 70 miliardi di cui sopra sono noccioline, per l’economia svizzera si tratta di una cifra fuori dall’ordinario.

Per dare un metro di giudizio ai nostri lettori, ricordiamo che nel 2024 (l’ultimo anno per il quale sono reperibili dei dati) nell’economia svizzera sono stati investiti circa 220 miliardi (compresi gli investimenti nell’industria delle costruzioni). Comparata con questa cifra, la richiesta del Governo americano agli imprenditori svizzeri di investire 200 miliardi in tre anni nella sua economia è certamente esosa. La stessa non sarà realizzabile senza un sensibile spostamento di filiere di produzione e di posti di lavoro verso gli Stati Uniti. Per molte aziende esportatrici del nostro Paese sarà come cadere dalla padella alla brace.