La felicità passa anche dalla comunicazione

by azione azione
24 Novembre 2025

Saper comunicare in maniera efficace è alla base delle buone relazioni sia in ambito privato che professionale. Ne parliamo con Monica Garbani-Nerini, formatrice e Chief Happiness Officer

Tra i principali fattori che concorrono a determinare la felicità ci sono le buone relazioni, che a loro volta sono influenzate in maniera importante dalla qualità della comunicazione. Lo affermano diversi studi ma anche la nostra esperienza quotidiana. Per questo motivo è utile comprendere come comunicare al meglio, in maniera efficace e in un modo capace di farci connettere più profondamente con l’altro.

«Da qualche anno mi occupo di benessere e le buone relazioni, per le quali la comunicazione è essenziale, sono una delle cose più importanti in questo senso – afferma Monica Garbani-Nerini, formatrice, consulente e Chief Happiness Officer – il problema è che non ci viene insegnato a comunicare in maniera efficace e, di conseguenza, in questo ambito, c’è tanto che diamo per scontato. Per esempio, diamo per scontato che l’altro capisca, e ci capisca, quando in realtà siamo così diversi l’uno dall’altro per cui scontato ciò non lo è affatto. Sta a noi spiegarci, o perlomeno spiegare alcune cose di noi o di quello che stiamo dicendo».

Monica Garbani su queste tematiche tiene dei corsi, momenti di condivisione, spunti e consigli su come migliorare il proprio modo di comunicare e aumentare di conseguenza il livello di felicità. A lei chiediamo quindi quali sono gli elementi che in questo ambito andrebbero migliorati: «La prima cosa che ritengo importante è il fatto di esprimersi, ed esprimere i propri bisogni, il proprio sentire, la propria richiesta, in prima persona – spiega – per esemplificare, invece di “se mi dici questa cosa mi fai star male”, direi “io sto male quando dici questa cosa”; con la prima formulazione, infatti, la persona che la riceve si sente messa in discussione, mentre con la seconda si esplicita che si tratta di un mio problema». Altro elemento importante anche quando si comunica con l’altro è la conoscenza di sé stessi e delle proprie emozioni: «Se sono cosciente delle reazioni che ho di fronte a certe affermazioni, e dei motivi che ne stanno alla base, avrò maggiore consapevolezza sulle mie scelte comunicative e ciò si ripercuoterà automaticamente sulla relazione con il mio interlocutore e sul modo in cui lui si porrà nei miei confronti», aggiunge la formatrice per adulti. Principi, questi, che valgono per tutti i tipi di relazioni – amichevoli, familiari, professionali – dal momento che le dinamiche che ne stanno alla base sono simili.

C’è poi un terzo elemento, basilare, a cui spesso non viene però accordata la dovuta importanza quando si comunica con l’altro: ascoltare. «Molto spesso c’è bisogno di imparare ad ascoltare e di farlo fino in fondo, senza reagire o esprimere giudizi e lasciando che il nostro interlocutore possa finire quello che sta dicendo», afferma Monica Garbani, che continua aggiungendo un’ulteriore componente di una buona comunicazione: «Il passo successivo è quello di cercare di capire, quando necessario riformulando quello che l’altro ha detto. Perché anche qui si apre ogni volta un mondo, nel senso che in un dialogo uno dice una cosa, che l’altro poi interpreta, anche in base al proprio vissuto». In particolare in caso di conflitto, magari con i figli, vale la pena di riformulare, a voce alta, quanto appena ascoltato. Questo consente da un lato di assicurarci nel confronto con l’altro di averlo capito davvero e, dall’altro, mantiene aperto il discorso, e lo fa in un modo corretto, senza cioè attaccare l’interlocutore, ma mettendolo piuttosto al centro. «Restando in tema di relazioni soprattutto familiari – ma non solo – è bene rendersi conto che molte volte le persone hanno bisogno solo di ascolto, e non di risposte; mentre quello che spesso siamo portati a fare, anche con l’ammirevole obiettivo di renderci utili, è di partire immediatamente con il dare soluzioni ed interpretazioni», racconta la nostra interlocutrice, la quale si occupa anche di consulenza individuale e sviluppo personale, bilancio delle competenze, sostegno alla genitorialità, comunicazione costruttiva e gestione dei conflitti. Ma come possiamo capire se la persona con cui ci stiamo confrontando si aspetta da noi «solo» ascolto oppure un aiuto più concreto? «Non è effettivamente semplice; quello che consiglierei è di stare il più possibile in ascolto, evitando di dare soluzioni, ma piuttosto indagando sul tema in questione, su quello che, eventualmente, non va, su come si sente chi abbiamo di fronte; dopodiché, se realmente lo desidera, sarà lui stesso a chiederci la nostra opinione», ci spiega l’esperta.

Riuscire a mettere in atto queste «regole» per una buona comunicazione permette a noi di esprimerci e farci conoscere e, al tempo steso, ci consente di conoscere meglio il nostro interlocutore; riconoscere le nostre emozioni e permetterci di riconoscere i sentimenti e i punti di vista dell’altro, grazie a un atteggiamento di ascolto attento e consapevole, ci fa sentire reciprocamente più vicini e ci aiuta a comprenderci meglio. E queste sono, ovviamente, delle basi solide per delle relazioni di valore. «Le relazioni sono il fulcro di quasi tutte le teorie scientifiche sul benessere – aggiunge Monica Garbani – e, concretamente, i benefici che delle buone relazioni portano con sé si possono misurare in una diminuzione dello stress, un aumento del senso della vita e della sicurezza, per il fatto di avere un supporto sociale, nell’aumento di emozioni positive, con relativo incremento nella produzione di ormoni “della felicità”, come pure in un miglioramento della salute e in un rafforzamento del sistema immunitario». Di conseguenza, appare chiara l’importanza e la necessità di coltivare le relazioni che sono significative per noi, impegnandosi a trovare il tempo da dedicare loro, piuttosto che relegarle in secondo piano rispetto agli impegni e alle scadenze che la vita ci impone. Ne va della nostra felicità.

E, in tema di felicità, avrà magari incuriosito qualcuno il titolo di Chief Happiness Officer, che può essere tradotto come «Responsabile della felicità»; di cosa si tratta? «Ho seguito questa formazione in Italia, nel 2020, che arriva, come facilmente immaginabile, dall’America. Attualmente esistono formazioni analoghe anche in alcune business-school di altre nazioni, per esempio Germania ed Inghilterra – racconta Monica Garbani – nel mio percorso, abbiamo studiato quali sono le cose che in un’azienda fanno stare bene, partendo dal presupposto che se i dipendenti sono felici hanno un rendimento e un coinvolgimento maggiori, nell’azienda e nel lavoro, come comprovato da numerosi studi».

Tra questi studi, la nostra interlocutrice ne cita uno in cui fuori da un’aula di esame ad un gruppo di studenti è stata data una caramella e sono state pronunciate delle parole di incoraggiamento, prima di entrare, mentre ad un secondo gruppo no; il risultato emerso è che gli esponenti del primo gruppo hanno ottenuto un esito nettamente migliore all’esame rispetto a quelli del gruppo di controllo. «A volte si tratta di piccole attenzioni o piccoli accorgimenti che possono fare la differenza, anche in azienda, alcuni dei quali sono proprio legati al fatto di valorizzare le persone, coinvolgerle, e sono quindi a costo zero. Costano soltanto un po’ di tempo e di attenzione. Più in generale, comunque, durante la formazione si viene a conoscenza di tutta una serie di strumenti da utilizzare e di elementi a cui prestare attenzione proprio per arrivare al fine ultimo di avere un buon clima aziendale», conclude Monica Garbani, attiva come formatrice anche in ambito aziendale, nel quale, ci dice, si comincia effettivamente a percepire un maggior interesse per questo tipo di tematiche, anche alle nostre latitudini.