Il ponte della Ghisolfa

by azione azione
17 Novembre 2025

Di corsa, per forza, in un attimo di tregua di traffico, attraverso la strada a doppia corsia quando dopo piazzale Lugano compie un curvone, prima del ponte. Ponte ferroviario da sempre per me legato solo al titolo di un libro di Testori che non ero mai riuscito a finire, se non l’altra notte. Oltrepassato soltanto sulla circolare novantuno strapiena, è percorribile a piedi solo da questo versante, mi sono accorto all’ultimo. Devo trovare l’inquadratura fugace di Rocco e i suoi fratelli (1960), film di Visconti ispirato un po’ dalle storie e i personaggi di Giovanni Testori: Il ponte della Ghisolfa (1958). Intanto, camminando nell’inospitale rivitalizzante, tra rombi di moto, flora non grata, cartacce e cos’altro, con lo sguardo trovo un nespolo giapponese in fiore.

Sul ponte, nato nel 1939 per completare la circonvallazione esterna e che nel 1968 ha dato anche il nome a un circolo anarchico, sul finire di un pomeriggio della prima decade di novembre, si apre uno squarcio suburbano sospeso. Binari in fuga prospettica, grattacieli, gru, terreni vaghi, campetti di calcio, malinconie, sconforti, sogni infranti. Il toponimo è agreste per via di una curiosa cascina semigotica demolita qui da qualche parte, la Ghisolfa. Al contempo, potrebbe pure essere crasi immaginaria tra Ghisini – le sorelle Ghisini sono le sirenette in ghisa di un ponticello al parco Sempione: flashforward del mio peregrinare alla milanese – e solfa. La casa, ecco, grazie al doppio arco di quella finestra riconosco – riaffiorando nitido il flashback cinematografico – il luogo inquadrato che cerco. Il punto esatto deve essere all’incrocio tra via Mac Mahon e viale Monte Ceneri.

Mi avventuro un minimo sulla strada trafficata, qualche passo all’indietro, alla cieca, tra i clacson, e di colpo, con quei lampioni chini ancora lì e quella piega lieve in salita del ponte, emerge il fotogramma del film. Un paio di secondi, appena dopo quando uno al bar sputtana a Simone, il maggiore dei cinque fratelli lucani, finito un po’ sulla cattiva strada per il bere e le donne dopo i primi successi sul ring, il posto dove Rocco e Nadia vanno in camporella. «Dalle parti della Ghisolfa» gli dice l’Ivo ( Corrado Pani, più famoso per la storia d’amore con Mina che per i suoi ruoli), a Simone (Renato Salvatori) livido di rabbia e gelosia. Ed è lì, dove sono passato prima, sui prati a ridosso di quelle scarpate ferroviarie che si svolgono la scene più drammatiche del film. Lo stupro di Nadia (Annie Girardot interpreta una donna inquieta che fa la vita) davanti agli occhi della banda del bar e del fratello minore Rocco (un apollineo Alain Delon con occhi da cucciolo di cane ma personaggio forte e altruista). E i due fratelli emigrati al nord come tanti allora, pugili in erba tra l’altro, che si picchiano a sangue.

Nel fotogramma del ponte della Ghisolfa, se in tutto il resto del film si mischiano le carte, Visconti segue le indicazioni date dal tragitto testoriano dell’Enrica che venendo da Mac Mahon svolta a destra, per inoltrarsi nel buio dove più in là ha l’appuntamento con il Raffaele, fratello del marito ubriacone e violento. Solo una delle vite misere raccontate in questo libro di storie a puntate, soap-opera di periferia, affresco popolare stile fotoromanzo. Dove il ponte del titolo appare furtivo all’inizio di questo racconto eponimo: «quando nascondendosi in se stessa scese dal tram e, il tempo di attraversare il viale, si trovò davanti la rampa del ponte che i lampioni illuminavano nella sua curva ampia e solenne».

Mai chiamato da nessuno con il suo vero nome, cavalcavia Bacula – un aviatore – è nominato anche nella prima storia del libro, quando rincasando, passano da lì il Todeschi, presidente della Vigor al volante di una giardinetta, e il Pessina che ha appena vinto una corsa ciclistica lacustre dolente per la caduta dolosa del Consonni che si è rincretinito. E così, decido di vagare per le strade di questa zona, dove nel 1907 sorge uno dei primi caseggiati popolari post campagna, vestigia dell’emigrazione meridionale, oggi dall’atmosfera cairota con tocco di odonomastica elvetico-prealpina. Percorrendo via Monte Generoso sbuco in piazza Prealpi. Nota negli anni novanta per essere il regno della ndranghetista Maria Serraino, meglio nota come Mamma Eroina. Da queste parti abitava anche una costumista sciroccata argentina ossessionata dai film di Bergman.