A colloquio con Andrea Amarante, direttore generale del LAC di Lugano
«Sono particolarmente soddisfatto di poter annunciare la partnership con Percento culturale Migros Ticino (…) in occasione dei primi dieci anni di vita del LAC. In un periodo non privo di criticità , ottenere il sostegno di un soggetto privato di primo piano nella vita culturale della Svizzera italiana rafforza un ente pubblico come il nostro, che promuove progetti e iniziative per il territorio, sostenendone la creatività e lo sviluppo».
La notizia, qui riportata nelle parole del direttore generale, è di pochi giorni or sono: il Percento culturale Migros Ticino (gestito da Luca Corti) è diventato partner istituzionale di LAC Lugano Arte e Cultura per la stagione 2025/26. Un sodalizio che rafforza la missione del LAC come luogo d’incontro tra le arti e la comunità .
Questa stagione, però, rappresenta anche un’altra prima: una conduzione artistica nuova, fresca e attenta al territorio, che con passione e competenza sta costruendo il nuovo direttore generale e musicale Andrea Amarante. Lo abbiamo incontrato negli spazi dell’ex convento di Santa Maria degli Angioli.
Andrea Amarante, quella del LAC rappresenta una grande sfida, cui lei, però, non giunge impreparato, come dimostrano le sue esperienze. Ci parla del suo percorso?
Al termine degli studi di pianoforte, ho iniziato a lavorare come pianista per lirica, muovendomi in Emilia-Romagna con cantanti internazionali. Dal 2002 al 2009 ho lavorato a Spoleto, diventando anche responsabile dei corsi di formazione. È lì che ho deciso di lasciare la musica praticata per dedicarmi alla politica culturale. Non ero mai stato un interprete nel senso tradizionale, ma un preparatore: vivevo la mia professione come un servizio all’artista. Sono poi stato assistente di un festival in Tirolo, quindi al San Carlo di Napoli come segretario artistico. In seguito, ho lavorato alla Scala di Milano, dove, sotto la direzione musicale di Daniel Barenboim, ho coordinato i servizi musicali e la programmazione annuale. Ho poi intrapreso una nuova esperienza come coordinatore artistico della Luzerner Sinfonieorchester, per la quale, al KKL, ho curato la programmazione e le tournée dal 2015 al 2024.
Lei è arrivato nell’aprile del 2024: cosa ha trovato?
Il fatto di ritrovarmi con una stagione già disegnata dal mio predecessore Etienne Reymond mi ha permesso di portarla avanti per tutto l’anno e, allo stesso tempo, di iniziare a programmare per il futuro, facendo qualche esperimento per conoscere il pubblico, la città e il suo ritmo. Sono entrato in contatto con diversi attori culturali allora esterni al LAC, come il fondatore della United Soloists Orchestra, con cui abbiamo organizzato un concerto con Stefano Bollani: il primo sold out. Un’esperienza simile a quella con Space÷Division un gruppo di appassionati di musica elettronica che ha proposto un lungo dj set al LAC: anche lì ho visto un pubblico eterogeneo, intergenerazionale e in parte nuovo.
Il LAC cerca dunque nuove forme di sinergia con gli attori del territorio?
Sì, e questi primi segnali mi hanno confermato quanto fosse necessario aprirsi a nuove forme di collaborazione. Ho iniziato a lavorare anche con Jazz in Bess, dove ho trovato persone straordinarie, che dedicano ogni minuto libero alla musica e al confronto. Non dobbiamo dimenticare che il LAC riceve un importante sostegno pubblico, derivante dalle tasse dei cittadini: ho dunque il dovere di fare tutto il possibile affinché il mio servizio raggiunga il maggior numero di persone. Tutti devono poter varcare le porte del LAC, senza ostacoli e senza sentirsi in soggezione. Credo che la musica, e l’arte in genere, abbiano una valenza non solo estetica ma anche sociale: creano relazioni, comunità , appartenenza. Ciò significa mettere al centro le attività pensate per le persone, con le persone e in funzione delle persone. È un processo che va continuamente rinnovato, perché le persone e le loro esigenze cambiano.
Nella sua figura di uomo mitteleuropeo si coniugano una visione nordica e una partenopea. Come si definirebbe?
Non saprei definirmi: mio padre è di origine meridionale, mia madre di Trieste. Ho vissuto a Napoli e mi ci sono trovato bene; ho vissuto in Tirolo e mi ci sono trovato bene. Ora sto imparando ad amare la gente e la cultura di questo luogo, che mi accoglie con calore e curiosità .
Il LAC, con i suoi 10 anni appena compiuti, è un centro culturale giovane. Ma come si pone di fronte ai giovani?
Nel corso del primo colloquio finalizzato ad assumere la direzione musicale del LAC, si è toccato anche il tema dei giovani, sempre più assenti dagli appuntamenti concertistici. Per quanto possa sembrare impopolare, è innegabile che oggi sia più difficile appassionarli alla musica classica. Vivono l’ascolto in modo diverso, più frammentato e immediato, e questo richiede nuovi linguaggi e rituali d’accesso. La prima opera che vidi fu Don Giovanni, e alle quattro del mattino ero già in fila davanti al teatro Verdi di Trieste: oggi questo tipo di attesa non esiste più.
Ma il nostro compito è proprio questo: creare nuove forme di fruizione della musica, nuovi rituali d’ascolto, nuovi motivi per cui un giovane si senta a casa in un centro culturale come il LAC. Per questo ho ripreso a studiare ciò che conoscevo meno – jazz, elettronica, pop – cercando punti di incontro fra linguaggi diversi e costruendo una stagione equilibrata per generi e stili.
Mi sono ad esempio reso conto che a Lugano mancava una tradizione di musica vocale: ho quindi inserito in cartellone Mariza, interprete di fado, un linguaggio nato dalla classica e attraversato da influenze arabe e mediterranee. Abbiamo coinvolto il consolato portoghese e, in occasione della festa nazionale del Portogallo, inviteremo il Rancho Folclorico «Os Amigos de Locarno» a esibirsi nella hall: prima del concerto ci saranno danze tradizionali aperte al pubblico. È giusto che anche la comunità portoghese, che in Ticino conta oltre 10’000 persone, abbia un motivo in più per venire al LAC. Mi piacerebbe che il LAC offrisse non solo arte, ma anche spazi per incontrarsi, studiare, lavorare, condividere. Anche l’offerta culinaria ha un ruolo: un centro culturale è vivo quando genera incontro, non solo quando presenta uno spettacolo.
Il territorio come parte integrante della stagione…
Per me il Ticino era una terra di passaggio tra Lucerna e casa. Ora sto imparando a conoscerlo davvero, e vi trovo realtà incredibili: vitalità , originalità , esperienza, talento. Sono profondamente innamorato del luogo in cui mi trovo a vivere e lavorare.
