I due maestri italiani del Novecento si confrontano in una mostra allestita negli spazi della Collezione Olgiati a LuganoEntrambi hanno contribuito a saggiare traiettorie atipiche per delineare nuovi orizzonti espressivi
Nel Novecento la materia nell’arte è oggetto di profonde sperimentazioni che rivoluzionano la rappresentazione pittorica tradizionale. A partire dalle ricerche delle avanguardie storiche, Cubismo e Futurismo in primis, l’introduzione nel quadro di oggetti d’uso comune e di frammenti della realtà conduce molti artisti a esplorare le possibilità comunicative di nuovi elementi, ad analizzarne il potenziale simbolico e a sondare concetti inediti di spazio e dinamismo, nonché a mostrare la verità intrinseca delle cose, il loro peso, il loro respiro.
Da quando Picasso realizza nel 1911 la celebre Natura morta con sedia impagliata, opera che apre l’atto estetico alla dimensione del reale, il dibattito sull’impiego di materiali inusuali rispetto al medium convenzionale della pittura si fa acceso, svelando tutta l’attrattiva di approcci creativi innovativi capaci di incarnare le trepidazioni di un periodo storico complesso.
In ambito italiano, dove la materia è centrale in tutta l’arte del XX secolo, questo tipo di indagine trova due straordinari interpreti in Enrico Prampolini e Alberto Burri, artisti che in momenti diversi e in modo totalmente differente condividono la lungimirante attitudine a saggiare traiettorie atipiche per delineare nuovi orizzonti espressivi.
Sebbene entrambi siano avviluppati nelle intricate maglie del secolo breve, l’uno, Prampolini, è attivo nella prima metà del Novecento, l’altro, Burri, nella seconda. Cosicché, quando tra gli anni Quaranta e Cinquanta i loro percorsi si intersecano a Roma, il primo è ormai giunto quasi al termine della sua carriera, mentre il secondo si è da poco affacciato sulla scena artistica.
Ancor più che quello temporale è però lo scarto concettuale a caratterizzare il confronto tra i due artisti. Per Prampolini la materia è evocazione, idealismo, spinta verso l’ignoto: totalmente priva di un portato drammatico, essa è un modo per superare la dimensione terrena e addentrarsi in un territorio misterioso. Per Burri, invece, la materia rivendica sempre la sua presenza e la sua tensione tragica: essa non è rappresentazione, metafora o allusione, ma genesi di un nuovo linguaggio che porta con sé l’inevitabile fardello delle inquietudini esistenziali dell’essere umano.
Il raffronto diretto tra questi due protagonisti del Novecento prede vita negli spazi della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati a Lugano, grazie a una mostra curata da Gabriella Belli e Bruno Corà che testimonia molto bene come entrambi gli artisti abbiano saputo sviscerare con piglio riformatore le potenzialità dell’elemento materico. Come poi lo abbiano fatto in maniera del tutto distinta l’uno dall’altro, viene sottolineato con raffinatezza ed efficacia dall’allestimento affidato all’architetto Mario Botta, che ha scandito con scelte cromatiche opposte il percorso della rassegna: pareti candidamente bianche accolgono le opere di Prampolini, ad amplificarne l’elegante visionarietà, pareti nere fanno invece da sfondo alle opere di Burri, a rimarcarne la potenza lancinante.
Di Prampolini, nato a Modena nel 1894, personalità sagace, eclettica, cosmopolita e abilissima nell’intessere relazioni con i colleghi di tutta Europa, la mostra espone l’emblematica opera dal titolo Béguinage, realizzata nel 1914, due anni dopo l’adesione del pittore al movimento futurista. In questo piccolo quadretto di poco più di venti centimetri, una piuma, un pezzo di stoffa e una pennellata di colore vengono applicati su un semplice supporto di legno: gioco, provocazione o esperimento che sia, si tratta di un precoce atto di insubordinazione dell’artista alle tecniche tradizionali che racchiude, in nuce, la propensione alla manipolazione di materiali anomali alla base delle sue «pitture cosmiche» degli anni successivi.
A segnare l’approdo alla fase più visionaria di Prampolini, che prende vita proprio grazie all’energia dei nuovi elementi, è Intervista con la materia, del 1930, opera in cui spugna, sughero e galatite popolano lo spazio prima dominato dalla pittura. Come documentano i quadri degli anni Trenta esposti in rassegna le tele dell’artista accolgono ora sabbia, colla e ritagli, in un’incessante ricerca di espressioni simboliche e metaforiche che risentono anche della feconda rete di contatti creata da Prampolini fin dagli anni Venti con il movimento surrealista e con il gruppo parigino di Cercle et Carré.
Particolarmente interessanti sono poi gli «automatismi polimaterici» degli anni Quaranta, lavori di piccole dimensioni in cui l’artista costruisce su una base di gesso o legno armoniose composizioni fatte di oggetti banali come bottoni, trine, stoffe, ovatta e pettini, dando vita a originali microcosmi di un infallibile rigore e di un’immaginifica levità.
Le ultime opere esposte a Lugano appartengono agli anni Cinquanta, un periodo ancora prolifico per il pittore, che continua a sviluppare con originalità il proprio linguaggio. Lavori come Tensioni astratte, Apparizioni bioplastiche, datate 1954, e Composizione S 6: zolfo e cobalto, del 1955, possono essere considerate una sorta di lascito di Prampolini agli artisti che verranno dopo di lui, con la speranza che essi possano cogliere il significato della sua indagine e prenderla come punto di partenza per nuove elaborazioni.
Di Burri, nato a Città di Castello nel 1915, protagonista di una vicenda singolare che lo ha visto abbandonare la professione di medico per accostarsi alla pittura dopo un’esperienza di prigionia in Africa e in Texas durante il secondo conflitto mondiale, la mostra presenta un nutrito gruppo di opere che rivelano come la sperimentazione della materia sia per l’artista un modo per dar vita a un lessico capace di esprimere i drammi vissuti attraverso una ridefinizione dei parametri estetici.
Da qui la sua arte che, a partire dal 1948, respinge i mezzi tradizionali della pittura per affidarsi a materiali umili e rudi – ora bruciati, ora lacerati, ora strappati e ricuciti – che si manifestano nella loro palpitante fisicità. È una svolta radicale, questa, destinata a lasciare un segno indelebile e a influenzare numerose correnti artistiche internazionali.

Alberto Burri, Sacco, 1953 (Coll. Olgiati, Lugano. Foto: S. Beretta © Fond. Palazzo Albizzini Coll. Burri, Città di Castello; 2025, ProLitteris, ZH)
Con quel senso della misura e dell’equilibrio che assimila nella sua terra natale dai dipinti di Raffaello e di Piero della Francesca durante gli anni giovanili, Burri realizza i primi importanti cicli: sono le «Composizioni», i «Catrami», i «Sacchi», i «Gobbi». Tutte serie ben documentate nell’esposizione che decretano una nuova concezione dello spazio pittorico attraverso l’uso della materia nuda e cruda.
Ancor più estremi sono i lavori in cui l’artista impiega il fuoco per aggredire l’elemento materico, incendiandolo e squarciandolo alla ricerca di spazi sconosciuti. Quella utilizzata da Burri nelle sue «Combustioni» per bruciare plastica, tela, vinavil, alluminio e legno è una fiamma purificatrice che attraverso l’atto distruttivo porta all’edificazione di qualcosa di inedito, in grado di rinnovare profondamente le forme della materia.
In mostra a Lugano ci sono anche i «Cretti» degli anni Settanta, opere che il pittore realizza affidandosi alla terra, all’aria e all’acqua. In questi lavori il composto da lui prodotto è una miscela di caolino, acqua e vinavil che con la lenta azione dell’aria si asciuga e si essicca, creando concrezioni inerti percorse da crepe e fenditure.
Un altro materiale particolarmente caro all’artista è il cellotex, con cui vengono realizzate molte opere negli anni Ottanta e Novanta. L’opacità, l’omogeneità e l’arrendevolezza di questo elemento sono caratteristiche che Burri trova appropriate per dare una configurazione visiva al silenzio e all’assenza. Eppure in Nero e oro, lavoro del 1993 presente in rassegna, la primigenia uniformità di una materia soffocata sembra gridare al mondo la sua «irriducibile presenza».
Dove e quando
Prampolini Burri. Della Materia. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano.
Fino all’11 gennaio 2026. Orari: da giovedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00.
Ingresso gratuito.
www.collezioneolgiati.ch
