Il Pirellone

by azione azione
20 Ottobre 2025

Faro nelle mie notti alla deriva, il grattacielo, diamantesco di colpo, m’indicava la via. Visto la sua vicinanza alla stazione centrale: all’epoca abitavo da quelle parti. Architettura notturna autoilluminantesi è infatti uno dei titoletti di un testo prefiguratore di Gio Ponti (1891-1979), già incontrato per strada in occasione del marmo tempesta, a proposito del grattacielo Pirelli. Espressione dell’edificio Pirelli in costruzione a Milano, apparso su «Domus» di marzo 1956, tra l’altro, oltre a svelare, con parole d’elogio e partecipazione, l’importanza degli altri sei progettisti – Giuseppe Valtolina, Egidio Dell’Orto, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Arturo Danusso, Pier Luigi Nervi – tocca dei picchi tipo «arte e poesia incominciano dove interviene l’illusione». L’illusività vera del Pirellone, come l’ho sempre chiamato amichevolmente al pari di molti milanesi, però, è solo negli ultimi tempi di gironzolamenti accurati, ricognizioni maniacali o smarrimenti ragionevoli, che l’ho colta.

Va visto di lato, certe sere, all’improvviso. Da via Filzi, mi ricordo, per esempio, una sera, all’angolo con via Locatelli, d’un tratto tutta la sua sottigliezza, di lato, mi ha investito. Estenuato dal continuo camminare in mezzo al traffico, ostinato a non prendere né tram né tantomeno metrò, una rasoiata di grazia, quantomeno, ha colpito il mio sguardo. Il Pirellone, nato nel 1960, fratellino dunque della Velasca anche se più grandicello con i suoi centoventisette metri, da quella prospettiva, esprimeva di colpo la sua natura di diamante, cristallo, lama di spada. Entrava in scena tutta la sua illusività, leggerezza, poesia. Lampo di architettura quasi fantastica in una città poco incline alle fantasticherie.

La conferma di questo punto di osservazione rivelatorio l’ho trovata in uno splendido reportage di Dino Buzzati. Nel finale di Visita con tradimento a una mostra di francobolli (1961) ci sono due consigli prospettici al tramonto, quando la cuspide del monolito si comporta come i «più ispirati picchi delle Dolomiti»: uno è da via Zezon, traversa di Fabio Filzi. «Questo è di gran lunga il più bel posto di Milano, monumenti, chiese, e palazzi antichi compresi»: si sbilanciava, persino, il Buzzati. Dal davanti, invece, come lo vedo adesso appena uscito dalla stazione, su piazza Duca di Aosta, il grattacielo di calcestruzzo armato e vetro, non è niente di che. «Un mobile-bar ingigantito» per il grande storico dell’architettura Bruno Zevi che non deve aver passeggiato abbastanza per beccare quell’angolatura fatata. Mi stupisce pure Antonioni, il cui sguardo architettonico ha già fatto capolino in uno dei nostri giri, catturando, nel cuore della notte, palazzo Fidia. L’ha trovata solo in parte, questa angolatura-lama. La camera, all’inizio de La notte (1961), inquadrandolo prima un attimo con accanto, per contrasto, un palazzo antico, sale su frontale. Sul grattacielo modernissimo di trentadue piani che porta il nome della multinazionale famosa per i pneumatici – fondata qui a pochi passi, esordendo con oggetti in caucciù vulcanizzati, da Giovanni Battista Pirelli (1848-1932) – con solo un angolo a mostrarne, in piccola parte, l’esilità. Poi, per due minuti buoni, in questo secondo film della trilogia dell’alienazione con Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Monica Vitti, un pianosequenza-carrellata scende adagio lungo le vetrate – sulle quali scorrono i titoli di testa ricordando un po’ l’inizio del film di Dino Risi con la torre Velasca – che riflettono Milano. Molti, facendo confusione e senza neanche almeno verificare, citano nella filmografia del Pirellone anche il film di Lizzani tratto da La vita agra di Bianciardi però, nel film, il torracchione che Tognazzi vuol far saltare in aria, è la torre Galfa, mentre nel libro è la Montecatini.

Se nella vita del Pirellone fanno anche parte una coppietta di falchi pellegrini e un aereo da turismo che centrò il ventiseiesimo piano causando due vittime oltre il pilota, a me non rimane che arretrare nel suo punto di vista verso via Sammartini. Non male, ho scoperto da poco, da qui, l’effetto lama diamantata. E così per sport, con in testa come un mantra la rima di Delio Tessa «ottober, cocober» provo, questa sera di metà ottobre più che mite, a seguire il secondo consiglio prospettico buzzatiano, cercando il punto di osservazione in via General Fara.