Dimenticare aiuta a vivere meglio

by azione azione
20 Ottobre 2025

L’oblio non è un malfunzionamento della mente, ma una strategia di sopravvivenza. Lo racconta il neuroscienziato Sergio Della Sala

Come funzionano i ricordi? Perché dimentichiamo? Per Platone, la memoria era una tavoletta di cera. Per Sant’Agostino, invece, era un magazzino o una libreria infinita. Successivamente si è passati a paragonare la memoria a una macchina fotografica, a una videocamera e a un computer. Gli studi di oggi ci raccontano un’altra verità: la memoria non è un archivio immutabile, ma un sistema dinamico che si trasforma con l’esperienza. Di ricordi e dimenticanza si è occupato Sergio Della Sala, professore di Neuroscienze cognitive all’Università di Edimburgo, nel suo ultimo libro intitolato Perché dimentichiamo. Una scienza dell’oblio (Feltrinelli). Secondo il neuroscienziato, memoria e oblio sono strettamente connessi: «Ciò che sappiamo del mondo è ciò che rimane dopo che abbiamo dimenticato i dettagli del nostro vissuto».

Sergio Della Sala, perché dimentichiamo?
Quando perdiamo le chiavi, scordiamo un nome o confondiamo una data, ci sentiamo subito in difetto e pensiamo che la nostra memoria non funzioni come dovrebbe. Eppure, in condizioni di normalità, l’oblio non è un segno di debolezza, ma una risorsa che ci permette di vivere meglio. Dimenticare non è un malfunzionamento della mente, ma una strategia di sopravvivenza. Il cervello, infatti, non è un archivio infinito: sceglie ciò che serve e lascia andare il resto, così da alleggerirci e renderci più pronti all’azione. Memoria e dimenticanza lavorano insieme, sono due facce della stessa medaglia e rendono il pensiero più agile e la vita più semplice. Non siamo soli in questo: anche gli animali fanno uso dell’oblio per meglio adattarsi al loro ambiente. Gli scoiattoli, ad esempio, aggiornano la loro mappa mentale delle provviste, cancellando quelle ormai marce per concentrarsi solo su ciò che ancora può nutrirli.

Come si formano i ricordi?
Ogni ricordo nasce da un incontro con il mondo: uno sguardo, una voce, un odore, una sensazione. In quel momento il cervello, se presta attenzione, inizia a codificare l’esperienza, trasformando stimoli sparsi in tracce nervose. Ma non tutto resta: ciò che ci colpisce, emoziona o interessa, e ciò che si connette con quanto già sappiamo, ha più possibilità di imprimersi, mentre il resto svanisce senza lasciare segno. Poi entra in gioco una struttura cerebrale che si chiama ippocampo, come un bibliotecario instancabile che raccoglie i frammenti e li trascrive in modo più stabile. È il processo di consolidamento. In questa fase il tempo e il sonno sono alleati indispensabili (durante il riposo il cervello riorganizza, ripassa, rinforza). Una volta stabilizzati, i ricordi vengono archiviati: le immagini visive trovano posto nella corteccia occipitale, i suoni in quella temporale, i movimenti nelle aree motorie. Quando ne abbiamo bisogno, il cervello ricompone quei frammenti: richiamare un ricordo è come rimettere insieme i pezzi di un mosaico.

E come dimentichiamo?
Ricordare tutto non solo appesantirebbe la mente, ma la renderebbe inefficiente. Se ogni informazione restasse per sempre accessibile, le nuove conoscenze non riuscirebbero a farsi spazio. Per esempio, non rammentare l’indirizzo della casa in cui abitavamo da bambini è utile, perché lascia priorità al nostro indirizzo attuale. Inoltre, la memoria funziona attraverso la selezione. Il cervello scorda ciò che non usiamo per evitare interferenze. Ricordare tutto sarebbe un disastro perché bloccherebbe il nostro cervello in una massa caotica di dati.

Lei scrive che esistono 256 diversi tipi di memorie. In che cosa si differenziano l’una dall’altra?
Usiamo sistemi differenti per ricordare cosa abbiamo mangiato ieri, l’orario in cui accompagnare nostra figlia a pallavolo, il nome della capitale della Turchia, le nozioni per un esame, come guidare, il profumo della persona amata o un numero telefonico giusto il tempo di comporlo. La memoria a breve termine è la capacità di trattenere poche informazioni per un tempo ridotto (qualche decina di secondi). La memoria a lungo termine, invece, comprende ricordi che durano tutta la vita e si distingue in due diverse categorie: la memoria semantica (le conoscenze generali sul mondo); la memoria episodica (che riguarda i ricordi personali e autobiografici, legati a un contesto specifico di tempo e luogo). C’è poi la cosiddetta memoria prospettica che è la memoria del futuro: serve a ricordare di compiere un’azione programmata. Ed è ragionevole pensare che ci siano anche diversi tipi di oblio.

Come funziona l’oblio?
Lo psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus, con i suoi studi meticolosi e ripetitivi, arrivò a una scoperta fondamentale: la memoria non svanisce in modo casuale, ma segue un andamento regolare e prevedibile. Da queste osservazioni nacque la celebre curva dell’oblio, considerata ancora il punto di riferimento per comprendere come dimentichiamo. La curva ha l’aspetto di un gomito piegato: subito dopo l’apprendimento il declino è rapidissimo, quasi verticale, poi la perdita di informazioni rallenta fino a diventare più lenta e graduale. In pratica, dimentichiamo circa metà di ciò che abbiamo appreso entro la prima ora; successivamente continuiamo a perdere ricordi, ma a un ritmo molto più blando. Questo significa che, se è falso il mito secondo cui useremmo solo il 10 per cento del nostro cervello, è invece vero che la nostra capacità di trattenere informazioni è limitata.

La memoria è fedele alla realtà?
Il cervello umano produce facilmente false percezioni, ricordi distorti e cattive valutazioni statistiche. La sua evoluzione è stata guidata dalla necessità di sopravvivere: i nostri antenati scappavano ogni volta che vedevano l’erba muoversi, anche se quasi sempre era il vento, perché quella rara volta in cui si nascondeva un predatore poteva costare la vita. La nostra mente, dunque, è programmata per commettere errori funzionali alla sopravvivenza, a differenza di un computer che, pur più preciso nel calcolare le probabilità, non sarebbe in grado di affrontare i rischi reali dell’ambiente. I nostri ricordi non funzionano come fotografie, ma come ricostruzioni guidate dagli schemi mentali e dalle aspettative. Ricordiamo non solo ciò che abbiamo visto, ma anche ciò che ci aspettavamo di vedere.