«Stay woke!». Quando alla mia 17.enne Clotilde scappa questo invito dopo che al Tg è passata una dichiarazione di Trump, capisco che da genitore devo fermarmi a comprenderla bene. Perché in quelle due semplici Parole dei figli c’è un intero sistema di valori che contraddistingue la Generazione Z. Il termine woke, che deriva dal verbo inglese to wake (svegliarsi), indica letteralmente qualcuno che «si è svegliato». L’Oxford English Dictionary l’ha inserito ufficialmente nel vocabolario nel 2017 con questa definizione: «In origine: ben informato, aggiornato. Ora principalmente: attento alla discriminazione e all’ingiustizia razziale o sociale».
In breve: woke vuol dire essere politicamente coscienti, aver aperto gli occhi sulle storture del mondo. Nella mia redazione al «Corriere della Sera», i colleghi Milena Gabanelli e Paolo Giordano hanno dedicato settimane a studiare il fenomeno. La conclusione a cui sono arrivati è che i fondamenti del pensiero woke sono almeno tre: 1) lotta contro ogni forma di discriminazione: razziale, di genere, sessuale, coloniale, economica 2) consapevolezza che le diverse forme di oppressione sono interconnesse e come tali vanno combattute in modo unitario 3) critica alle strutture di potere dove l’ingiustizia è sistemica, con l’obiettivo di riformarle dal profondo.
Il riflesso più concreto di questo pensiero nella vita di tutti i giorni è nell’uso del linguaggio, considerato il primo e più potente strumento per cambiare la realtà. La cultura woke promuove un linguaggio inclusivo che mette sempre al centro la persona. Esempi pratici: non si dice più «un disabile», ma «una persona con disabilità», per non ridurre un individuo a una sua condizione. Si cercano forme linguistiche che non presuppongano il genere, attraverso lo sdoppiamento («le studentesse e gli studenti»), l’uso di termini neutri («il personale» invece de «i dipendenti») o, nelle forme scritte più militanti, con l’introduzione della schwa () o dell’asterisco (*): «car
tutt
», «car* tutt*». A tal proposito, mi è capitato di leggere testi (bellissimi!) di Clotilde scritti in modo tale che era impossibile riconoscere il sesso della persona protagonista, lasciando piena libertà di immedesimazione.
Ecco, allora, che lo «Stay woke!» di un adolescente, magari in risposta a una dichiarazione sessista, razzista o omofoba, è un concentrato potentissimo di concetti culturali e generazionali. È l’affermazione della propria posizione, un modo per condannare il pregiudizio; invitare (o sfidare) l’altro a diventare più consapevole; affermare la propria identità e i propri valori; tracciare un confine invalicabile tra ciò che è socialmente accettabile e ciò che, secondo i canoni della sua generazione, non lo è più. Ma c’è un’altra faccia della medaglia. L’Oxford Learner’s Dictionaries, dopo aver definito woke, aggiunge: «Questa parola è spesso usata in senso disapprovante da coloro che si oppongono a nuove idee e pensano che altre persone si arrabbino troppo facilmente per queste questioni». E qui la scoperta impossibile da ignorare: anche molti giovani usano il termine woke in modo negativo. C’è un conflitto interno alla stessa Generazione Z che noi adulti tendiamo a ignorare, forse perché ci piace raffigurarli come i salvatori del mondo. Ma generalizzare è sempre sbagliato.
Già nel gennaio 2024, un editoriale del «Financial Times» di John Burn-Murdoch ha suscitato un ampio dibattito, mostrando come le visioni di giovani uomini e donne si stiano drammaticamente distanziando: negli Stati Uniti, i dati Gallup mostrano che, dopo decenni di sostanziale allineamento, le femmine tra i 18 e i 30 anni sono ora più progressiste del 30% rispetto ai loro coetanei maschi. La Germania mostra un divario identico, mentre nel Regno Unito è di 25 punti. Tuttavia, anche qui, non è possibile fare di tutta l’erba un fascio. L’anti-woke tra i giovani della Gen Z non è solo una questione di genere. Ha a che fare con la rise of anti-intellectualism, l’ascesa dell’anti-intellettualismo. Tradotto: il dilagare della superficialità, che va di pari passo con l’ostilità e il disprezzo verso gli intellettuali, la scienza e il pensiero critico. Neppure gli adolescenti ne sono immuni.