"Theodoros" di Mircea Cărtărescu è un’epopea visionaria che attraversa tremila anni di storia fondendo avventura, misticismo e scienza
Provate a immaginare un romanzo «totale». Un epos che, come un’enciclopedia illustrata, narri tremila anni di storia, dal re Salomone sino ai Beatles e oltre. Grosso modo è questa la trama suggestiva, poetica, mistica e scientifica al contempo di Theodoros, l’ultima e immensa fatica dello scrittore rumeno Mircea Cartarescu. Tradotto in modo eccellente da Bruno Mazzoni e pubblicato da Il Saggiatore, il libro racconta prima di tutto cinquanta anni di vita di Theodoros. Un ragazzaccio che apre gli occhi il 4 febbraio 1818 in quel di Ghergani, villaggio della Valacchia al sud della Romania. Suo padre è un artigiano; sua madre una domestica greca che culla Theodoros al suono dei canti dell’Iliade e dell’Odissea omeriche. Partito come garzone del boiardo di Ghergani, il ragazzo lascia i boschi della Romania per trasformarsi in un pirata degli arcipelaghi greci. Da qui in poi Cartarescu dipinge un affresco abbacinante del Levante, l’antico bacino dell’Europa mediterranea che dalle isole greche e turche abbracciava le coste africane.
La cornice storica invece in cui Theodoros cresce da pirata ribelle sino a crudelissimo imperatore etiope è il 19esimo secolo. Dell’epoca vittoriana Cartarescu narra non solo gli imperi e i loro declini, ma anche gli scontri diplomatici e le razziste guerre coloniali. E la nascita del più velenoso virus politico moderno: la febbre acida del nazionalismo. «Non ho voluto ricostruire la storia moderna, spiega l’autore, ma costruirla in modo postmoderno e surrealista». In effetti, fra le mille gesta e disavventure di Theodoros, spinto sempre più in alto (e verso l’Africa) dalla sua immane ambizione politica, ecco che fra le pagine spuntano figure come John Lennon; o le bottigliette della Coca-Cola, e poi le storie della prima penna stilografica, quella dell’inventore degli ascensori o le più complesse teorie dei quanti.
Cartarescu è uno dei rari scrittori che studia con passione le scienze e analizza le scoperte tecnologiche. «Io non vedo alcuna differenza significativa tra scienza e magia», sintetizza lui. Con la non lieve aggiunta che Theodoros è anche il libro senza dubbio più religioso dello scrittore di Bucarest. Nella sua sete viscerale di potere, infatti, Theodoros sbarca in Etiopia entrando nei panni del brutale imperatore Tewodros II, un despota sanguinario alla caccia dei misteri del Kebra Nagast, il libro sacro della Chiesa etiope. È in quelle pagine mistiche, riraccontate da Cartarescu, che si dipana «una delle più belle storie d’amore di tutti i tempi», come la definisce lui. E cioè quella fra Makeda, la suadente regina di Saba e Salomone, il re di Gerusalemme. Di questa notte d’amore fra la regina etiope e il più saggio dei re ebrei nella Bibbia non si fa parola. Ma è lo stesso Cartarescu a confidarci che «i quattro capitoli che descrivono Gerusalemme, il tempio, il re e la regina, sono i miei preferiti in Theodoros».
Theodoros è uno scintillante romanzo-enciclopedia più esotico che mistico, al contempo dotto, storico e persino attuale nelle sue derive politiche. Non a caso il modello a cui l’autore si è ispirato per la vita, morte e miracoli di Theodoros è l’opera più leggendaria della letteratura sudamericana. «Mentre scrivevo la storia di Theodoros, conclude Cartarescu, avevo in mente Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Volevo trovare un mondo fantasioso come Macondo, ma con l’immaginario bizantino, i dipinti delle chiese ortodosse, le storie della mistica medievale». Esperimento riuscito. E invitiamo il lettore a lasciarsi risucchiare nelle avventure del folle, quanto brutale, Theodoros.
 
			         
			         
			        