Provo un certo fastidio quando il mio browser mi propone «Gemini può riassumerti quest’articolo. Ti interessa? Clicca qui». È una specie di moto di ripulsa interiore, di orgoglio ferito, direi. «So benissimo riassumermi gli articoli da solo, grazie», rispondo a voce alta. «Anzi, prima di tutto preferisco leggerli, per capire di cosa mi vogliono parlare, poi decido io». Ma mi rendo conto di quanto questo sia un tipico atteggiamento da boomer. Sono «vecchia scuola». Mio figlio, ad esempio, non avrebbe nessun problema a farsi fare il riassunto di un testo dall’Intelligenza artificiale. Si perde meno tempo. Si va al sodo (il tempo risparmiato comunque non ho ancora capito dove va a finire, sospetto nella Playstation, e va bene anche così).
Il rimprovero che nelle scorse settimane l’esperta Maria Grazia Giuffreda muoveva su queste pagine all’IA, rischiosa macchina per la pigrizia, mi è ben chiaro. Dovremmo evitare il tranello della comodità automatica. Specialmente nel caso di decisioni importanti (sarà vero che Trump ha fatto calcolare i tassi dei dazi da imporre alle varie Nazioni a ChatGPT? E quale versione ha usato, poi? Quella gratuita o quella a pagamento?). Ma no, non c’è partita. Il mondo, oggi, ha bisogno di risposte veloci, adatte a decisioni veloci. Che siano corrette, mature, equilibrate, affidabili, importa relativamente poco. Ci si regola procedendo, osservando come evolvono i fenomeni. Siamo una società che avanza per trial and error e i nostri stessi apparati elettronici sono progettati così, ineluttabilmente.
Mentre penso a queste cose, rievocando i gloriosi tempi passati, mi capita in mano un vecchio libro di storia della letteratura. Pieno di citazioni latine. Corro con gli occhi in fondo alla pagina in cerca della traduzione… che non c’è. È un libro degli anni Venti del Novecento. Cento anni fa, chi scriveva un testo con ambizioni scientifiche sapeva di avviarlo a un contesto di lettori che conoscevano perfettamente il latino. Le traduzioni non erano quindi necessarie. Mi rendo conto che forse, proprio la generazione di noi boomer, negli anni Sessanta, ha interrotto senza troppi problemi questa tradizione. Una tradizione scientifica! Siamo noi, i primi che hanno potuto avviarsi a studi accademici senza passare prima per le forche caudine di Orazio, Ovidio, Lucrezio, per non parlare del terribile Tacito, e che al massimo se la sono cavata con qualche esamino integrativo.
Che differenza generazionale… I professori di inizio Novecento, se ci avessero conosciuto, cosa avrebbero pensato di noi? Che eravamo i colpevoli dissipatori di un’acquisizione fondamentale. Ancora qualche anno fa, discutendo con un caro amico, compagno di studi, ci rendevamo conto oggettivamente di questa nostra debolezza. Lui, studioso di ottima caratura, era il primo ad abbozzare una spiegazione: «Rispetto ai vecchi docenti sappiamo probabilmente molto meno. Non abbiamo imparato molte regole, è vero, non abbiamo letto tanti libri come loro. Ma in caso di necessità sappiamo dove trovare le informazioni che ci servono. Siamo passati, in altre parole, da una cultura interiorizzata a una cultura informata: una cultura che, in fondo, pratica un principio di economia delle risorse».
Non c’è dubbio che, per molti aspetti, in particolare nel settore delle scienze umanistiche, si sia operata una semplificazione concettuale, che è andata a scapito di un certo numero di competenze e conoscenze. La portata della «semplificazione» proposta dall’Intelligenza artificiale dunque, potrebbe essere correlata a tale movimento, che potremmo chiamare di regressione evolutiva, o di evoluzione regressiva. Più si procede nello sviluppo intellettuale collettivo, più si perde qualcosa. E d’altro canto torna alla mente un curioso articolo proposto molti anni fa da Umberto Eco, in cui lo studioso invocava la necessità per la società di dimenticare le nozioni acquisite, quale fondamentale passaggio per l’accrescimento delle competenze umane, che vanno costantemente riconquistate. Vorrei rileggerlo. L’avevo messo nel classificatore dove tengo i ritagli di giornale, chissà dov’è… Mi pare nello scaffale in alto, nella libreria. Aspetta, ma no, chiedo a Gemini. Faccio prima.
 
			         
			         
			        