In questi giorni terribili mi viene difficile proporre spunti di riflessione su questioni legate alla nostra realtà e al nostro modo di vivere e convivere. Sono in difficoltà nel soffermarmi sulle derive del nostro modo di abitare la vita e ancor più fatico a immaginare la possibilità di incamminarci verso un mondo migliore, verso relazioni e legami più veri e più armoniosi.
La vergogna che provo per la tragedia umanitaria che si sta consumando a Gaza rischia di prendere il sopravvento sul desiderio e sull’impegno a ragionare attorno a domande che comunque continuano a interpellare il nostro agire quotidiano, in prima persona.
La devastazione invade mente e cuore e rende difficile volgere lo sguardo su altre realtà.
Credo che comunque dobbiamo continuare a farlo, anche perché proprio nelle disarmonie che incontriamo per strada, ogni giorno, proprio nella nostalgia per una bellezza troppo spesso tradita, si riverbera il male grande degli attuali portatori di morte.
Un caro amico che vive in una metropoli europea mi scrive della fatica e della tristezza che lo assalgono ogni volta che gira per le strade, sempre un po’ impaurito dalla costante minaccia di essere aggredito. Lo colpisce la brutalità con cui vengono aggrediti ogni giorno soprattutto i giovanissimi e gli anziani. Mi racconta di episodi realmente accaduti, tra cui quello capitato recentemente a un collega settantenne, ferito in modo importante in pieno centro da due persone che gli hanno strappato zaino e computer.
Certo, la nostra piccola realtà è più tranquilla e più sicura, tuttavia, toute proportion gardée, comportamenti non proprio piacevoli e armoniosi li possiamo vedere anche passeggiando a Lugano, magari nella elegante via Nassa. Basta scorrere i social o le pagine dei lettori dei quotidiani per trovarvi voci di persone preoccupate e rattristate per tanti comportamenti inadeguati e disattenti, quando non addirittura offensivi, nei confronti degli altri.
Non entro nel merito di questi episodi vissuti e raccontati perché sarebbe troppo grande il pericolo di scivolare nel moralismo. E soprattutto è grande il rischio di sentirsi dire che ognuno deve poter fare quello che vuole, deve essere libero di comportarsi in modo autentico, lasciando perdere inutili formalismi, insomma: basta regole di comportamento ormai superate.
Fa riflettere questa idea di autenticità che se ne fa un baffo del rispetto dell’altro e del sentimento di appartenenza e considera gli aspetti formali della convivenza solo balzelli passatisti che ostacolano la libera espressione di sé stessi.
Siamo di fronte a una triste deriva in cui l’individuo responsabile, che sta al cuore dei valori della modernità, si consegna a forme di vita individualistiche e autoreferenziali in cui l’attenzione alla presenza dell’altro si infragilisce quando addirittura non scompare.
Eppure, per citare solo una bella voce tra le molte, il filosofo Lévinas diceva che il mio io si costituisce nella relazione con l’altro, nello sguardo dell’altro che mi interpella.
Questa cosiddetta autenticità, spesso invocata come espressione di libertà, ne tradisce profondamente il senso, consegnandolo all’unico desiderio di poter esibire il proprio esserci sulla scena della vita. In questa esibizione collettiva, lo sguardo dell’altro rimane solo una presenza sfocata sullo sfondo, lasciata lì solo per esibire qualcosa anche lei, magari quel «mi piace» sempre atteso e gradito.
Nel mio ultimo libro ho cercato di indicare un cammino personale che ci mettesse in contatto con gli strati più profondi della nostra umanità. Un invito a coltivare l’intimità con sé stessi e con l’altro, perché l’autenticità del vivere sorge dal nostro mondo interiore, in quel profondo contatto con noi stessi che accoglie la presenza dell’altro e il sentimento di una comune appartenenza alla vita.
Si tratta di un’esperienza oggi difficile perché questo mondo spettacolo è un continuo, potente richiamo all’esibizione di sé. In questa atmosfera pervasiva l’esporsi, discreto e autentico, a intime verità dell’esistere rischia di essere soffocato, quando non addirittura tradito.
Ed ecco che ci si appella allora a una «autenticità» misera e tarocca, che in realtà non è che malintesa libertà, o meglio liberazione, da ogni inutile legame con l’altro.
Tramonto dei legami: un tragico segnale? Forse anche nel ragionare sulle derive del nostro vivere e convivere, fin dentro i dettagli di piccole cose quotidiane, è possibile riconoscere qualche segno della attuale catastrofe del mondo.
 
			         
			         
			        