Futuro incerto per le FFS, la Posta e Swisscom. Ecco come affrontano le crescenti difficoltà e le critiche
Non è un buon momento per quelle che vengono chiamate «ex regie federali», in particolare per le tre principali aziende che fanno parte di questa categoria: Ferrovie federali, Posta e Swisscom. Imprese di proprietà dello Stato che da oltre un quarto di secolo sono chiamate a muoversi in un contesto di mercato liberalizzato, pur potendo qua e là ancora far leva su qualche residuo monopolistico. Imprese che devono badare alla salute dei loro bilanci, pur dovendo per legge continuare a fornire un servizio pubblico al Paese, anche in ambiti e regioni in cui questo sforzo non è redditizio. Una sorta di quadratura del cerchio che sta creando parecchi mal di pancia, a livello politico ma anche all’interno di queste «ex regie», con tensioni crescenti tra le loro dirigenze e il personale. Ma andiamo con ordine.
FFS, sempre più viaggiatori ma non basta
Alla fine di agosto le Ferrovie federali hanno pubblicato i risultati del primo semestre di questo 2025. Sei mesi da record per il numero di viaggiatori trasportati, salito a un milione e 400 mila persone al giorno. Con un incremento di quasi il 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Numeri da primato anche per la puntualità , con il 94,5% dei treni che non ha fatto registrare ritardi. Incoraggiante anche l’andamento del settore che amministra gli immobili. Buone notizie su cui però aleggia l’ombra di diverse fragilità aziendali. La prima riguarda senza dubbio FFS Cargo, un settore che nella prima metà di quest’anno ha fatto segnare una perdita di 47 milioni di franchi, 4 milioni in più rispetto a un anno fa. Cifre rosse a cui l’azienda ha risposto con una ristrutturazione interna e con il taglio di diverse decine di posti di lavoro, colpito anche il Sud delle Alpi. In Ticino FFS si è comunque detta pronta a trovare un nuovo impiego alle persone coinvolte da queste misure, in tutto poco meno di 60 dipendenti. Rassicurazioni che non sono bastate a calmare i sindacati, più volte scesi in piazza in difesa di questi impieghi. Un fronte su cui si sta muovendo anche il Parlamento ticinese, pronto a sottoporre al Consiglio federale una risoluzione per convincere FFS Cargo a tornare sui suoi passi. Ma i problemi per le Ferrovie non finiscono qui. Ne citiamo ancora un paio: scarseggiano anche i fondi destinati alla manutenzione della rete ferroviaria mentre aumentano le aggressioni verbali, e anche fisiche, a danno del personale delle FFS. Una media di dieci casi al giorno, hanno fatto sapere di recente le stesse Ferrovie, che definiscono questi episodi sempre più gravi.
La Posta svizzera e i lacci della politica
Anche nel 2025, e per la nona volta, questa «ex regia» ha ricevuto un riconoscimento di tutto rispetto, continua ad essere la miglior Posta del mondo. Un primato che però non basta a calmare le acque. Anno dopo anno cala, in media del 5%, il volume di lettere spedite. E diminuisce anche il numero delle persone che si rivolgono agli sportelli postali (che tra l’altro si riducono nel tempo). La spedizione di pacchi è invece in crescita, del 4% all’anno. La Posta è chiamata a svolgere questi compiti su tutto il territorio del nostro Paese, anche nelle zone più discoste, con conseguenze dirette sulla tenuta dei propri bilanci. E così, per far quadrare i conti, il «Gigante giallo» si muove sempre più anche in altri settori, ad esempio quello della digitalizzazione e della logistica. E qui va detto che in questi ultimi anni la Posta ha acquisito diverse società estere, con sede in una quindicina di Paesi, diventando così un gruppo multinazionale a tutti gli effetti. Una scelta strategica che le permette di finanziarie il servizio pubblico, ormai deficitario.
Il guaio, a detta dei vertici aziendali, sta nel fatto che la politica, in particolare il Parlamento federale, vuole ora mettere un freno a queste attività più redditizie. Di recente il direttore ad interim della Posta, Alex Glanzmann, ha lanciato un allarme: avanti di questo passo il suo gruppo avrà bisogno di aiuti pubblici pari a circa 300 milioni di franchi all’anno. In altre parole, la Posta non sarà più in grado di auto-finanziarsi. E questo a causa delle limitazioni a cui anela una parte del mondo politico. Ma al di là di questo braccio di ferro, va detto che c’è nervosismo anche con i sindacati. Basti dire che nel settore informatico la Posta prevede di creare 200 nuovi posti di lavoro in Portogallo e di tagliarne altrettanti in Svizzera, senza però ricorrere a licenziamenti. Una misura adottata per ridurre i costi e per far fronte alla crescente mancanza di personale qualificato, così almeno ha fatto sapere l’azienda. Parole che non sono bastate a placare gli animi, se ne è avuta una prova durante la recente sessione del Parlamento federale in cui il tema è stato al centro di un acceso dibattito nell’ambito della tradizionale «ora delle domande». Tensioni che torneranno presto a farsi sentire, la partita tra mondo politico e Posta è tutt’altro che conclusa.
Swisscom e quegli impieghi all’estero
Tra queste tre «ex regie», Swisscom è l’unica a non essere interamente nelle mani della Confederazione, che ad oggi detiene il 51% delle azioni di questa azienda. Come la Posta, anche Swisscom sta facendo ora parlare di sé soprattutto per un ulteriore sviluppo di alcune sue filiali all’estero, con la creazione, nel settore informatico, di diverse centinaia di nuovi posti di lavoro, ripartiti tra la Lettonia e i Paesi Bassi. Una delocalizzazione che va ad aggiungersi ad altri trasferimenti emersi negli scorsi anni, ad esempio in Kosovo, Polonia e Bulgaria, e che è dovuta a motivi di risparmio e alla necessità di trovare personale specializzato. Uno scenario simile a quello della Posta. A far discutere di recente è stato anche l’acquisto di Vodafone Italia. Un passo che a detta dell’azienda «rafforza Swisscom» e che le permette di issarsi al secondo posto nel mercato italiano delle telecomunicazioni, alle spalle di TIM. Un’acquisizione costata 8 miliardi di euro e che, a detta dei sindacati del settore, rischia ora di pesare a lungo sui bilanci dell’azienda. Da qualche tempo Swisscom si ritrova anche coinvolta in una procedura di ricorso per l’annullamento della votazione popolare che lo scorso 28 settembre ha dato il via libera all’introduzione di una identità elettronica. Un sì di stretta misura, pari al 50,4% delle preferenze. L’azienda è accusata di aver finanziato il fronte del sì, pur essendo chiamata alla neutralità politica, visto che è in mano pubblica. Una grana e un problema di immagine da non sottovalutare, c’è pur sempre di mezzo la democrazia diretta del nostro Paese.