La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter è la donna che deve superare una crisi dopo l’altra per la Svizzera. Come fa? La stampa Migros l’ha incontrata a New York
Le Nazioni Unite festeggiano il loro 80° anniversario. Ma non c’è molto da festeggiare di fronte a guerre, conflitti e mancanza di consenso. Ben 150 capi di Stato e di Governo hanno partecipato all’apertura dell’Assemblea generale dell’ONU a New York lo scorso settembre, tra cui Karin Keller-Sutter.
Karin Keller-Sutter, New York che ricordi le suscita?
«Qualche tempo fa con degli amici ho fatto un viaggio in barca negli Stati Uniti. Quando si entra nel porto di New York si vede la Statua della libertà , è uno spettacolo travolgente. Ho capito cosa hanno provato tante generazioni: eccoci arrivati nel mondo libero!» La Svizzera deve essere ligia ai suoi doveri, anche a livello finanziario. Dobbiamo prenderci cura delle nostre istituzion.
Secondo esperti e storici gli Stati Uniti si stanno rapidamente avviando verso l’autocrazia. Questa affermazione la preoccupa?
Gli Stati Uniti hanno fondamentalmente delle istituzioni forti. Ma in generale la democrazia non va data per scontata, bisogna impegnarsi per mantenerla. E anche il fatto che ci sia un dibattito simile fa parte di questo impegno.
A questo si aggiunge la Russia, che sta violando sempre più spesso lo spazio aereo della NATO e si sta armando lungo i confini. Qual è la situazione mondiale?
Molte cose stanno cambiando e non è ancora chiaro quale sarà la nuova configurazione. Stiamo parlando della situazione più fragile e difficile che si sia verificata dalla Seconda guerra mondiale. Forse abbiamo dato la pace troppo per scontata. Come molti altri, credevo che con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 ci sarebbe stato un nuovo ordine funzionante in cui anche la Russia sarebbe stata integrata. Ma questa calma era ingannevole.
Cosa significa per la Svizzera?
Che dobbiamo essere ligi ai nostri doveri, anche a livello finanziario. La Svizzera deve sfruttare i suoi punti di forza. Non dobbiamo piegarci e dobbiamo prenderci cura delle nostre istituzioni.
La sua telefonata riguardo ai dazi con Donald Trump ha fatto scalpore. Lo ha sottovalutato perché in precedenza ha detto di aver «trovato un qualche modo per trattare con lui»?
Assolutamente no. La prima conversazione è stata aperta e costruttiva. Tuttavia il presidente non era d’accordo con l’esito dei negoziati e ha preso una decisione diversa. Non bisogna prenderla sul personale.
Eppure è stata presa di mira. Quanto l’ha colpita?
La critica è parte integrante della carica politica. Bisogna saperla gestire. Ma quando i media diventano troppo severi, le persone reagiscono spesso in modo personale, con lettere, fiori e piccoli gesti. L’ho vissuto già diverse volte.
Dal 2019 ha vissuto diverse crisi: la pandemia, Credit Suisse, i dazi doganali. Si teme già la prossima crisi con il possibile allontanamento di UBS dalla Svizzera?
La decisione spetta a UBS. Il Consiglio federale propone quanto segue: la banca dovrebbe finanziare le sue attività estere in modo tale che i contribuenti non debbano intervenire nuovamente in caso di una nuova crisi dopo quelle del 2008 e del 2023. La popolazione si aspetta giustamente che facciamo tutto il possibile per evitarlo. Il Consiglio federale privilegia la stabilità a lungo termine rispetto ai rendimenti a breve termine.
L’allontanamento è uno scenario reale o solo un mezzo per esercitare pressione?
Naturalmente il trasferimento sarebbe molto spiacevole. Ma non vedo alcun motivo per cui UBS debba andarsene: la proposta del Consiglio federale è ragionevole e accettabile per UBS. Inoltre la stabilità e la certezza giuridica della sede svizzera offrono alla banca numerosi vantaggi.
Qual è il suo obiettivo qui a New York?
Quest’anno è speciale perché l’ONU celebra il suo 80° anniversario. Tra una cerimonia e l’altra, nei corridoi e durante i brevi incontri, si stabiliscono spesso contatti interessanti. A volte bastano pochi minuti per affrontare un argomento.
Ci sono ancora interessi comuni nel mondo?
Non esiste un consenso assoluto. Ovviamente la pace e la sicurezza sono l’obiettivo delle Nazioni Unite, oggi come 80 anni fa. Ma ci sono notevoli conflitti di interesse tra gli Stati. Sono proprio questi gli sviluppi che stanno portando a un’alleanza tra gli Stati che sostengono la democrazia, lo Stato di diritto e il libero commercio. Si tratta di valori centrali per la Svizzera. Siamo uno Stato piccolo, che dipende dal libero mercato e dall’affidabilità .
Come ricarica le energie quando si sente sopraffatta?
Con serie TV, allenamenti di boxe, passeggiate nel bosco o leggendo discorsi storici. A volte c’è bisogno di prendere le distanze per poter vedere le cose di nuovo con lucidità . Churchill ricorda a tutti noi che una posizione chiara e le parole giuste sono fondamentali nei momenti difficili.
È in politica da quando aveva 28 anni. Cosa la motiva?
Mi interessano le persone e gli sviluppi sociali. Nel Consiglio federale posso contribuire attivamente, assumermi responsabilità e far parte di un sistema che sostiene la Svizzera. Continua a persistere l’idea che il Consiglio federale sia potente, ma non è così. Il nostro ruolo è quello di contribuire a plasmare il Paese, non semplicemente di prendere decisioni.
Le aspettative nei confronti delle donne in politica sono spesso diverse da quelle degli uomini. Qual è la sua impressione?
Purtroppo persiste ancora il luogo comune secondo cui le donne non sono analitiche e non sono in grado di dirigere. Se le donne sono forti, vengono etichettate come «troppo dure» o «fredde». Quando da giovane mi sono candidata al Consiglio di Stato del Canton San Gallo, la gente diceva ad esempio che quel ruolo era adatto a un uomo, un ufficiale. Ma non mi sono lasciata scoraggiare.
Quali sogni e obiettivi ha ancora?
Mi piace essere consigliera federale. Dopo sarò in grado di passare ad altro, ne sono certa. La cosa importante è rimanere attivi ed evitare di ritrovarsi a non far più nulla da un giorno all’altro.
 
			         
			         
			        