Il Film Festival Diritti Umani Lugano offre occasioni di crescita anche ai/alle giovani delle scuole ticinesi, dal 12 al 19 ottobre
Seguiamo Irvin che dopo vent’anni torna a Srebrenica, in Bosnia-Erzegovina, per affrontare il trauma della guerra e superarlo, ricostruendo un villaggio con le sue mani (Il ragazzo della Drina). Mentre a Bruxelles incontriamo Hazem, fuggito da Gaza, ed Elettra, studentessa di cinema, che si scoprono attraverso la videocamera, abbattendo confini (The roller, the life, the fight). In Giappone conosciamo invece Shiori Ito, giornalista che denuncia l’aggressione sessuale subita e la sua battaglia per ottenere giustizia (Black Box Diaries). Infine, in Svizzera, celebriamo la vittoria delle Anziane per il clima: la CEDU nel 2024 stabilisce che gli Stati hanno l’obbligo di proteggere i/le cittadini/e dagli effetti del cambiamento climatico.
Queste sono solo alcune tappe del giro del mondo che il Film Festival Diritti Umani Lugano (FFDUL) propone ai giovani delle scuole ticinesi. Ma la manifestazione, giunta ormai alla sua dodicesima edizione, è rivolta a tutti/e: otto giorni di programmazione (12-19 ottobre) e 25 film, tra cui 12 anteprime svizzere e 8 anteprime ticinesi, il Concorso internazionale di lungometraggi, dibattiti, incontri e una moltitudine di eventi collaterali (più informazioni su www.festivaldirittiumani.ch). Senza dimenticare il workshop di produzione audiovisiva dedicato a studentesse e studenti del Pretirocinio di orientamento. Ci interessiamo in queste pagine in particolare alla programmazione per le scuole, uno dei momenti più importanti del Festival, con proposte pensate per avvicinare gli allievi ai temi caldi dell’attualità e alle questioni legate ai diritti umani (proiezioni a cui si possono iscrivere istituti e docenti con le loro classi).
Ma ragazzi e ragazze si interessano a ciò che accade nel mondo? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Martignoni, docente e membro della Commissione scuole del FFDUL. «Spesso si sente dire che sono distratti e indifferenti. Invece di giudicare, bisognerebbe ricordare che hanno una spiccata curiosità e chiedono di essere stimolati e guidati. Di sicuro conta il clima famigliare: ci sono contesti dove si discute molto e la sensibilità su certi temi è alta. Inoltre, quando il docente li considera e li ascolta, offrendo spunti per approfondire e stimolare la curiosità, i giovani rispondono positivamente». Non è sempre facile, ammette l’intervistato, tante volte ci si sente sotto pressione, pensiamo ai tempi dettati dal programma scolastico… Ma è l’unica via: l’interesse si costruisce insieme. «Magari gli studenti, per timore, non chiedono direttamente di parlare della Palestina o del conflitto in Ucraina, ma se il mondo entra in aula dimostrano tutta la loro volontà di capire, accompagnata da una certa preoccupazione».
Martignoni evidenzia due aspetti importanti: «Ragazzi e ragazze hanno oggi a disposizione una moltitudine di strumenti per raccogliere informazioni, e ricevono un flusso continuo di notizie che a volte li travolge. Così spesso faticano a leggere o ad approfondire l’argomento. Per loro diventa difficile scegliere a cosa prestare attenzione. A quale causa dare priorità? Guerre, povertà, clima?». Il docente sottolinea anche la difficoltà dei giovani di comprendere un mondo tanto complesso che cambia velocemente, oltre alle fake news e alla disinformazione che generano incertezza e confusione. In questo senso il FFDUL è un’occasione preziosa, che invita a porsi domande e aiuta a costruire una comprensione del mondo più consapevole e lucida, affrontando di petto la questione dei diritti umani ancora troppo spesso calpestati.
Come vengono scelte le opere che possono stimolare questa riflessione? La Commissione scuole fa da tramite tra il FFDUL e gli istituti scolastici appunto. «In pratica riceviamo una serie di proposte e abbiamo il compito di selezionarne all’incirca otto adatte a un giovane pubblico», spiega il nostro interlocutore. «Cerchiamo film e documentari che portino gli studenti nel mondo (oltre che in Svizzera, spesso presente nella programmazione). Consideriamo anche la durata di quanto proposto: optiamo per format non troppo lunghi, così disponiamo di tempo per il dibattito dopo la proiezione». «Prepariamo una scheda didattica per ogni film o documentario selezionato», continua Martignoni. «Contiene la trama; la spiegazione del contesto geopolitico e storico in cui si inserisce la narrazione; il collegamento con il tema dei diritti umani; una bibliografia e delle domande-guida. La scheda vuole essere uno strumento di lavoro fondamentale sia per gli allievi sia per i docenti». Ci sono diversi temi che colpiscono particolarmente i giovani oggi: i conflitti e le ingiustizie globali, la limitazione dei diritti e delle libertà personali (soprattutto quando si parla di persone imprigionate o uccise per le loro idee), il cambiamento climatico (sono preoccupati per il futuro del pianeta), l’educazione e la formazione (il diritto a un’istruzione di qualità, accessibile a tutti, rappresenta una chiave per il loro futuro e un elemento di speranza e riscatto sociale). Questi argomenti non solo attirano la loro attenzione, ma spesso diventano veri e propri motori di impegno e partecipazione.
Gli studenti non apprezzano eventi «calati dall’alto» che finiscono con un punto e basta, afferma Martignoni. «Facciamo il possibile affinché l’esperienza sia accompagnata da un percorso strutturato: dovrebbe esserci un “prima” che si svolge a scuola, con momenti di lettura e riflessione collettiva». Poi la proiezione al cinema – un momento magico di grande coinvolgimento – a seguire un dibattito con un ospite (rappresentante di un’Ong, un giornalista, uno storico o una figura esperta). «È importante che ci sia anche un “dopo”, lasciato alla responsabilità degli insegnanti, dove continuare la discussione consolidando così l’esperienza e trasformandola in un momento di crescita condivisa e formativa». Come reagiscono i giovani spettatori ai temi trattati? «Sono coraggiosi», osserva l’intervistato. «Non è affatto semplice prendere la parola davanti a 400 persone, soprattutto dopo aver visto un film che spesso è un pugno nello stomaco, dove convivono violenza e speranza. Reagiscono con spontaneità e sensibilità. Si affidano più degli adulti all’istinto, parlando con il cuore e sorprendendo con domande inaspettate e profonde. Si percepisce chiaramente che quell’esperienza li ha toccati. Si avverte il loro desiderio di comprendere, ma soprattutto la capacità di immedesimarsi nella vicenda che hanno appena vissuto. In questo li aiuta l’esperienza cinematografica: il cinema non racconta solo storie, ma fa vedere come dietro la geopolitica, i conflitti, le catastrofi ci sono vite umane. Oggi più che mai c’è un bisogno reale di festival come questo, che pongono la tutela dei diritti umani al centro dell’attenzione».
Da qualche anno – aggiunge il nostro interlocutore – il FFDUL si propone di aprirsi ad un pubblico ancora più giovane. Ad esempio collaborando con Il Cinema dei Ragazzi (domenica 12 ottobre all’Iride verrà proiettato La bicicletta verde, la storia di una ragazza saudita che sogna di comprarsi una bicicletta verde, simbolo di libertà ed emancipazione). Mentre il sogno di Martignoni è quello di portare maggiormente il festival nelle scuole: proiettare film e documentari, stimolare discussioni e riflessioni nelle aule tutto l’anno, incontrare attori e registi che lottano, con la loro arte, per la giustizia, la pace, il rispetto e il diritto ad una vita degna. «Di fronte alle ingiustizie, alle guerre, alla sofferenza bisogna indignarsi, come sosteneva anche Stéphane Hessel nel saggio Indignez-vous! (2010). Indignarsi e poi riconoscere che ognuno di noi può fare la differenza per cambiare il mondo. Cominciando da giovanissimo».