L’America e il mandato delle sette montagne

by azione azione
29 Settembre 2025

Dopo l’uccisione di Kirk cresce la tensione e i suoi eredi rilanciano il progetto in sette punti per conquistare il Paese

A Union Square, l’asfalto si è riempito di cerchi tracciati con il gessetto. Sono i «Charlie Kirk spot» di Felix Morelo, artista locale noto per i suoi disegni colorati «appoggiati» sui pavimenti della città. Stavolta, però, la street art è diventata rito politico. C’è chi entra nel perimetro come in un gesto di devozione, chi lo imbratta con la parola «nazista», chi lo calpesta con disprezzo. Al centro della piazza, nell’anello più grande il nome dell’attivista Maga ucciso il 10 settembre in un campus dello Utah, è ormai quasi cancellato. A osservarlo si ferma Yvonne, afroamericana sulla trentina, che scuote la testa con amarezza. «Sono ancora scossa. Era un coetaneo, è una storia orribile. Non mi piacevano le sue idee, ma di certo non giustifico quello che è successo», dice con voce ferma. E aggiunge: «Mi spiace molto che da destra si stia strumentalizzando questa vicenda, solo per fini politici, addossando tutte le responsabilità ai democratici». La ragazza, però, non condivide il processo di beatificazione in corso: «Non si può dimenticare che, tra le altre cose, definì Martin Luther King orribile e George Floyd un farabutto».

La riflessione di Yvonne si colloca fuori dal coro degli estremi che oggi dominano il dibattito pubblico. Da una parte, i conservatori che hanno elevato Kirk al rango di martire, «ucciso dalla violenza dei democratici». Dall’altra, quella minoranza di sinistra che non nasconde un senso di rivalsa, il prezzo delle sue battaglie contro aborto, immigrati e controllo delle armi. Dal giorno dell’assassinio, gli Stati Uniti sono sprofondati nel loro peggiore e ricorrente incubo, quello della violenza politica. Nulla di nuovo sotto il sole d’America, un Paese che sin dalla fondazione fa i conti con le pallottole che hanno fermato presidenti e leader civili. Senza andare troppo lontano, solo lo scorso anno, in piena campagna elettorale, il candidato presidente Donald Trump è stato vittima di un tentato omicidio. E anche allora l’America ha dimostrato di non essere capace di compattarsi. Come era successo nel 2011, quando la deputata democratica Gabby Giffords fu ferita in Arizona; nel 2017, quando il repubblicano Steve Scalise venne colpito durante un allenamento di baseball del Congresso; fino a giugno 2025, in Minnesota, con l’uccisione della ex speaker statale democratica Melissa Hortman e del marito.

La paura di una guerra civile

Alla radice di tutto resta un paradosso strutturale: la politica americana contemporanea premia chi alza i toni più che chi cerca compromessi. E difatti, nonostante la situazione avrebbe imposto un intervento da parte del presidente capace di parlare a tutti, Trump nelle ore successive alla tragedia ha preferito accusare la sinistra di aver «armato» l’assassino con la sua retorica. A lui si sono uniti tutti gli ambienti conservatori, sia nelle tv come «Fox News» sia nelle pagine social degli influencer di destra. Il vicecapo di gabinetto Stephen Miller ha persino promesso di «distruggere le reti dell’estrema sinistra in nome di Charlie». I numeri, però, raccontano un’altra storia: la stragrande maggioranza delle violenze politiche negli Stati Uniti negli ultimi decenni è stata compiuta da gruppi della destra radicale. Sui social la parola «guerra civile» è diventata trending topic. E nel frattempo, chi aveva osato criticare Kirk è finito non solo alla gogna digitale, ma anche sotto pressione nei luoghi di lavoro, con licenziamenti, richiami e sospensioni. L’esempio più clamoroso è arrivato dal mondo dello spettacolo: ABC ha fermato – seppur temporaneamente – il Jimmy Kimmel Live!, uno dei late show più seguiti d’America, dopo una battuta del conduttore ritenuta offensiva. Una misura senza precedenti, che ha acceso il dibattito sulla libertà di satira e sull’uso politico della censura: per la destra un atto dovuto alla memoria di Kirk, per molti altri un segnale inquietante del clima intimidatorio che avvolge oggi il Paese. E tutto questo accade nonostante il file rouge che lega la vicenda Kirk sia l’elemento spirituale.

Dio, patria e famiglia

È il boato della destra religiosa ultraconservatrice che trasforma il trentunenne nell’icona di una fede militante, brandita come arma politica. La consacrazione del fondatore di Turning Point USA ai funerali nello State Farm Stadium di Glendale in Arizona, diventato un’immensa cattedrale, ha lanciato l’agiografia definitiva di un profeta e martire. A ricordarlo, sul palco c’era l’intero stato maggiore del Governo; sugli spalti oltre sessantamila persone che alternavano preghiere e slogan del movimento Maga. Il senso profondo di quella folla non era soltanto il lutto. Era la celebrazione dei valori che Charlie Kirk aveva incarnato: Dio, patria e famiglia. Per lui l’America doveva riconoscersi apertamente come una Nazione cristiana, non limitarsi a un Governo ispirato al cristianesimo. Da quel punto di vista il nucleo familiare diventava la prima trincea: sposarsi, fare figli, educarli alla Bibbia non era più scelta personale, ma missione collettiva, dovere civico. Il perno della sua filosofia di vita era il cosiddetto «Seven Mountain Mandate», il mandato delle sette montagne, ovvero le roccaforti che i cristiani devono conquistare: famiglia, religione, istruzione, media, arte e intrattenimento, affari e Governo. L’eredità di Kirk, una delle voci più influenti della destra contemporanea, sarà ora affidata alla vedova Erika, nuova ceo di Turning Point. La trentaseienne ha in mano un tesoretto politico ed economico di rilievo. In poco più di un decennio, il marito aveva costruito un impero non solo finanziario. Turning Point USA ha fatturato 85 milioni di dollari nel 2024, che diventano 95 se si includono le altre «filiali» parallele.

In tredici anni il totale sfiora il mezzo miliardo: non un movimento, ma una macchina da guerra politica e mediatica, alimentata anche dal podcast «The Charlie Kirk Show» seguito da milioni di persone. Dopo il delitto, la febbre si è moltiplicata: in una sola settimana sono arrivate oltre 54 mila richieste per aprire nuovi circoli in licei e università. La sua organizzazione è oggi un esercito di giovani che marciano sotto le bandiere del trumpismo. Ma in fondo, Erika lo aveva profetizzato all’indomani della morte: «Se pensavate che la missione di mio marito fosse potente prima… non avete idea di ciò che avete appena scatenato in questo Paese e nel mondo intero». Aveva ragione. Dal lutto è nata la retorica del martirio, dal funerale il rito di fondazione. La destra evangelica e trumpiana ha trovato il suo profeta caduto, il suo sangue. E da quel giorno l’America si è rimessa in cammino, non verso la riconciliazione ma verso una nuova crociata.   Â