Frances Greenslade, Green Mountain Academy, Keller (Da 13 anni)
Forza, resilienza, riscatto: è una potente storia di sopravvivenza al femminile, quella che ci propone l’autrice canadese Frances Greenslade, in questo romanzo che idealmente è un seguito del precedente Red Fox Road, ma che è leggibile anche da solo. In Red Fox Road la tredicenne Francie e i suoi genitori sono in viaggio, dalla British Columbia, in Canada, diretti verso il Grand Canyon per un’escursione. Ma un guasto al motore li blocca in mezzo al nulla, e del padre, incamminatosi a cercare soccorso, non si hanno più notizie. Ritroviamo Francie in questo avvincente Green Mountain Academy, che è il nome di una scuola femminile arroccata in montagna dove Francie viene messa perché la sua famiglia, con il padre disperso e la madre in ospedale, è ormai annullata.

L’Academy si rivelerà un luogo di possibile rinascita per lei, con nuove amicizie e con la possibilità di vivere immersa nella natura selvaggia, contesto che Francie ama tanto. Ma la natura può essere salvifica o terribile, come è ribadito in molte opere dell’autrice, e Francie si troverà ad affrontare un’intensa storia di sopravvivenza, dapprima in solitaria, poi con l’aiuto di altre ragazze. Ciò che spinge Francie a quest’avventura estrema nel gelo e nella bufera è la notizia che un piccolo aereo è scomparso nelle vicinanze, e lei si sente in dovere di non abbandonare alle intemperie gli eventuali superstiti. Ma è un imperativo morale che affonda le sue radici nel senso di colpa che Francie non ha ancora risolto, per non aver cercato oltre ogni ragionevolezza il padre scomparso ed essersi fatta trarre in salvo dai soccorsi: «Se avessi attraversato il ruscello quella notte. Se avessi continuato a cercare papà. Una possibilità di trovarlo c’era». Rischiare la vita per sottrarre alla morte quelle persone le sembra l’unica possibile catarsi, l’unica via verso la propria assoluzione. Ma nessuno si salva da solo, in questo bel romanzo corale, dove ognuno, in un certo senso, salva l’altro. E dopo il buio, il ghiaccio, i crepacci insidiosi, lo smarrimento nella foresta cupa e inospitale potrà sorgere il calore di un interno domestico, il profumo di resina e di buon cibo, e soprattutto una nuova luce nel cuore, grazie al sorriso ritrovato delle persone care.
Pépito Matéo-Irène Bonacina, L’ometto a cui non piaceva nulla, Terre di Mezzo (Da 5 anni)
Un apologo forse più utile per gli adulti, perché i bambini non l’hanno ancora perso quel senso di meraviglia e quell’attitudine a nominare il mondo, dando a ogni cosa, anche la più piccola, un senso, è ciò che ci racconta Pépito Mateo, supportato in modo essenziale dalle evocative immagini di Irène Bonacina. Pépito Matéo è un autore e attore bretone, ed è soprattutto un cantastorie (insegna l’arte del racconto all’Università Paris VIII) e questa storia, ci dice nei risguardi finali, l’ha ascoltata da un narratore amerindo della tribù degli Houma, il quale sottolineava il fatto che «tutte le mattine i nativi ringraziavano ogni cosa necessaria all’esistenza, in modo che nulla scomparisse sulla Terra».

In effetti il racconto parla della capacità di apprezzare, di gioire e di essere grati per ciò che ci circonda, ma parla anche della necessità di chiamare alla vita le cose, di dare loro un nome, un senso, di riconoscerne l’unicità e la sacralità, senza mai darle per scontate. E parla anche di come l’assenza di desiderio, di senso, sia all’origine del buio della depressione, perché questo Petit homme qui n’aimait rien all’inizio non vuole nulla, non apprezza nulla, non vede il senso in nulla. «Da tempo ormai, tutto gli dava fastidio, ma non avrebbe saputo dire da quando. “A che servirebbe?” borbottava l’ometto…». Gli dava fastidio tutto, a cominciare dal sole, dalle nuvole, dagli alberi, dagli animali, e tutto piano piano cominciò a ritirarsi, a sparire, sparì il sole, sparirono le nuvole, gli alberi, gli animali… Finché l’ometto si ritrovò solo, nella vertigine del buio e del nulla. Allora chiese aiuto, e dal nulla una voce si udì, perché per la prima volta l’ometto aveva cercato un’interlocuzione: «Che ti succede, ometto?». Ed ecco allora sorgere in lui il desiderio, prima fiammella di luce per uscire dal buio. Un desiderio espresso da quel verbo, «vorrei»: «Vorrei vedere una stella brillare […] vorrei che il giorno sorgesse…». Se vuoi il mondo, devi chiamarlo, e l’ometto allora chiamerà alla vita ogni cosa, facendo rinascere il mondo, e facendo rinascere al contempo sé stesso. Una storia delicata e profonda, resa ancora più intensa dalle illustrazioni, che interpretano poeticamente lo sparire e il riapparire del mondo.
 
			         
			         
			        