Anche se la «guerra infinita» terminasse, Kiev non avrebbe la forza di rialzarsi da sola, come uscire dal pantano?
La guerra di Ucraina non finirà nemmeno quando la si dichiarerà finita. Troppo profonde le diffidenze reciproche, troppo esistenziali le poste in gioco, specie ma non solo per gli ucraini che rischiano di vedere il loro Paese cancellato dalla carta geografica o ridotto a moncherino. Soprattutto, non esiste una chiara definizione di vittoria o di sconfitta da nessuna delle due parti. Come spesso accade, si comincia un conflitto per motivazioni vaghe che poi vengono adattate agli eventi. È come se invece di tirare la freccia per colpire il bersaglio, la si tirasse senza bersaglio e poi lo si sistemasse dove la freccia ha colpito. In guerra l’unica certezza è il dominio della propaganda sulla realtà, della comunicazione a effetto sugli obiettivi concreti.
C’è però un aspetto che spesso sfugge oggi che siamo tutti malati di tecnicismi. In attesa che i conflitti li combattano i robot, l’uomo resta al centro della lotta. In senso fisico ma anche e soprattutto psicologico. La motivazione del combattente è decisiva. Se non sai per che cosa stai combattendo, prima o poi smetti di sparare. È questo, oggi, il vantaggio relativo dei russi sugli ucraini. Non è detto che lo sia anche domani. Ma certo nello stadio attuale gli obiettivi russi appaiono meno oscuri di quelli ucraini. E soprattutto meno ardui da raggiungere.
Il 30 agosto il capo di Stato maggiore delle Forze armate russe, generale Valerij Gerasimov, ha fatto il punto sulla guerra. Lo ha fatto ostentando alle sue spalle una mappa dell’Ucraina che attribuiva alla Russia non solo la Crimea, il Donbass e le regioni di Zaporijjia e Kherson, ma anche quelle di Mikolayiv e Odessa. Stando a quella carta, dunque, l’Ucraina residua perderebbe qualsiasi accesso al mare e finirebbe per diventare quel che Putin vuole per la sicurezza della Russia: un suo cuscinetto di protezione contro la Nato. Riedizione aggiornata della «Nuova Russia» di Caterina II. Recupero di una porzione strategica dell’impero zarista. È probabile che quando si arriverà a un cessate-il-fuoco questo obiettivo non sarà centrato, mentre potrebbe esserlo in una fase successiva, giusto il principio che la partita resterà comunque aperta.
Per quale Ucraina combattano invece gli ucraini è meno chiaro. In teoria, per il recupero dei confini del 1991, quelli ereditati dall’epoca sovietica, Crimea e Donbass inclusi. Zelensky è il primo a sapere che si tratta di un obiettivo ormai impossibile. Tanto da lasciar filtrare la disponibilità ad accettare la perdita del Donbass e della Crimea, anche perché se per miracolo i russi fossero costretti a sgombrare entrambi questi territori Kiev dovrebbe amministrare una popolazione quasi interamente russofona e russofila. Ragionamento che, rovesciato, sconsiglierebbe i russi dall’annettere i territori dell’Ucraina centrale, settentrionale e occidentale, dove il radicamento nazionale ucraino è tradizionalmente forte. Ciò obbligherebbe Mosca a stanziare in modo permanente centinaia di migliaia di uomini nell’Ucraina residua e potenzialmente ribelle. La situazione attuale sul terreno, con le Forze armate russe che stanno aggirando l’ultima linea di difesa ucraina, permetterebbe in teoria a Putin di puntare addirittura su Kiev. Ma i rischi sarebbero troppo alti, almeno in questa fase. Sia per la resistenza che opporrebbero molti ucraini agli invasori, sia perché non si potrebbe escludere l’intervento diretto se non della Nato almeno di alcuni suoi Paesi «volenterosi».
L’allargamento del conflitto è oggi molto improbabile, oltre che totalmente irrazionale, perché da uno scontro diretto Russia-Nato, destinato a elevarsi al grado atomico, ci si può aspettare un’apocalisse totale. Ma nella mancanza di chiarezza sugli obiettivi di guerra e nel caos che regna al grado globale, nulla si può escludere in modo definitivo. Il recente abbattimento di alcuni droni russi in territorio polacco è un segnale da prendere sul serio proprio in questa prospettiva. Anche se molti aspetti di quell’evento restano da chiarire, la possibilità che si inneschi una spirale non voluta di azioni e reazioni tale da finire fuori controllo è abbastanza alta. A quel punto il massacro in corso da tre anni e mezzo scadrebbe a prologo di qualcosa di terribile che preferiamo non immaginare. In una prospettiva di medio periodo, anche immaginando che la tregua cominci ora, il problema è come tenere in piedi un Paese che dall’indipendenza a oggi ha perso perché in diaspora o uccisi dai russi circa metà dei suoi 52 milioni di abitanti originari. E che dipende totalmente sotto il profilo finanziario, militare ed economico dall’estero. Dai Paesi euroatlantici, ma anche dalla Russia. È inimmaginabile che un’Ucraina residua, posta sulla nuova cortina di acciaio fra Est e Ovest, possa ricostruirsi sulla base delle sue scarse forze, a prescindere dai commerci con la Russia. Soprattutto per quanto riguarda l’energia.
Questo ci porta alla questione delle questioni: stabilizzare quella parte di Europa non è possibile che attraverso un patto di sicurezza fra Russia, Bielorussia e Paesi Nato. Niente di meno visibile oggi. Ma l’alternativa è una guerra senza fine, magari scaduta a guerriglia, che significherebbe crisi permanente per tutti. «Vincitori» russi compresi. Le virgolette per ricordarci che di vincitore effettivo per ora se ne vede uno solo: la Cina.