Lupo: né mostro, né favola

by Claudia
15 Settembre 2025

Ticino: dal clamore alla convivenza, cosa racconta il ritorno nei nostri boschi del predatore più discusso delle Alpi?

Secondo i dati aggiornati al mese di luglio di quest’anno, il Dipartimento del territorio indica che i casi di predazioni nelle greggi da parte dei lupi erano 17 nel 2022, 11 nel 2023, e sono passati dai 19 del 2024 ai 23 del 2025, ai quali oggi vanno aggiunti 16 episodi ancora in fase di analisi, per un probabile totale di 39. Per rapporto alle predazioni di quest’anno, viene indicato pure che «in 14 casi gli animali attaccati erano non protetti e in sette non proteggibili». Durante l’estate, non si è parlato d’altro: avvistamenti ravvicinati, predazioni su greggi, branchi osservati nei pressi di zone abitate. Il lupo è tornato, e la sua presenza fa rumore. Quando un animale diventa notizia per la sua semplice esistenza, è lecito chiedersi se stiamo davvero affrontando il tema con gli strumenti giusti. Tra timori e recriminazioni, si può facilmente perdere la prospettiva ed è ora di chiedersi cosa significhi convivere con il lupo. Leggendo la situazione nel modo più oggettivo possibile, la prima domanda è: il lupo non è più una notizia, ma un vicino di casa? Dal clamore alla convivenza, cosa dice davvero il ritorno del predatore più discusso delle Alpi?

«Il suo ritorno era annunciato da tempo, considerando che dopo l’estinzione locale avvenuta nel secolo scorso, il lupo è risalito spontaneamente dall’Appennino e dalle Alpi occidentali. In Ticino, la sua presenza stabile si registra da circa un decennio, ma è solo negli ultimi anni che la sua visibilità è aumentata». È la conferma del biologo Gabriele Cozzi, collaboratore scientifico dell’Ufficio della caccia e della pesca da noi interpellato, secondo il quale: «Non è certo una sorpresa perché il monitoraggio della sua espansione ha chiaramente mostrato che il ritorno del lupo sulle Alpi era atteso da anni. Oggi, tra branchi, coppie stabili e individui in dispersione è presente su tutto il territorio Cantonale». A conferma, i dati statistici: «Nel 2025 in Ticino è accertata la presenza di 6 branchi: Onsernone, Val Colla, Carvina, Lepontino, Gridone e Madom. Quest’ultimo identificato a metà 2025. Inoltre, sono presenti 5 coppie stabili, due in più rispetto al 2024». Cozzi puntualizza: «Ad eccezione dei branchi Lepontino e Madom, si tratta di branchi transfrontalieri e, di conseguenza, non sempre presenti sul nostro territorio e più difficili da monitorare. Agli individui adulti che compongono i branchi, si aggiungono i 10 adulti delle cinque coppie citate, per un totale stimabile di circa 26 – 28 lupi adulti stabili».

Né mostro, né favola, il lupo (Canis lupus italicus) è un predatore sociale intelligente e opportunista. Vive in branchi con una gerarchia precisa, si nutre soprattutto di ungulati selvatici (come cervi e caprioli), ma non disdegna pecore e capre se accessibili. Ed è proprio questo il nodo più sensibile: la convivenza con l’attività pastorizia. Il biologo ammette che il rischio per gli allevamenti è reale: «Esistono anche misure efficaci per ridurlo drasticamente. Cani da protezione, recinzioni elettrificate, sorveglianza attiva: sono strumenti già disponibili e spesso finanziabili, anche se non sempre applicabili». D’altra parte, fra le testimonianze di alcuni allevatori citiamo quella di Marco Turchetti, di Preonzo, rilasciata al «CdT La Domenica» dell’11 maggio 2025, che evidenzia l’impossibilità pratica, spesso riscontrata, di usare recinzioni o riparo notturno: «A gennaio ho venduto tutte le pecore che mi erano rimaste (…) Ci sono tre lupi stanziali sui monti, sarebbe un suicidio tornarci su con gli animali. Mettere un recinto sarebbe impossibile… le pecore non sono fatte per stare in uno spazio ristretto…». Turchetti era l’ultimo allevatore che caricava ancora gli alpeggi di Preonzo (Lèis, Gariss, Cusale, Moroscetto).

Il problema, però, non è solo tecnico. È anche culturale, spiega sempre il biologo Cozzi che, pur riconoscendo le difficoltà legate a conformazione del territorio e lupo, invita al dialogo nell’ottica di una presenza, quella del predatore, che è a tutti gli effetti parte della natura e dell’ecosistema: «Il lupo divide l’opinione pubblica come pochi altri animali. È simbolo di libertà e wilderness per alcuni, minaccia ancestrale per altri. E sui social, le emozioni spesso prendono il posto della statistica». Dunque, senza ignorare le difficoltà, egli invita alla pacatezza e alla concretezza, e sottolinea che la gestione del lupo sul territorio merita dialogo e conoscenza scevra di pregiudizio, per quanto possibile: «Sappiamo che il lupo ha un impatto sull’equilibrio dell’ecosistema, ad esempio, nel controllo degli ungulati (durante tutto l’anno e anche nelle zone in cui la caccia, che comunque ha un impatto maggiore, non può intervenire) e di conseguenza nel ringiovanimento del bosco. Nella ricerca della convivenza col lupo, bisogna trovare giusto equilibrio e compromesso tra gestione (anche letale, laddove ve ne sia l’esigenza e la legge lo permette) e protezione delle greggi per diminuirne l’impatto e le perdite nell’attività di allevamento. Ben consci che zero perdite non saranno mai raggiungibili, sia da una parte che dall’altra».

Un equilibrio non ancora raggiunto, secondo il biologo, ma ben oltre la sopportazione a parere del presidente dell’Associazione protezione del territorio dai grandi predatori Armando Donati, che porta la voce degli allevatori e il termometro del loro sentire: «I lupi sono oramai talmente tanti che in Ticino non abbiamo più un solo territorio dove gli allevatori possono dire: “Ecco, lì posso portarvi le mie bestie e, con la protezione possibile, posso assumermi il rischio minimo di una predazione da parte sua”. Fino al 2000 vi erano zone considerate ancora abbastanza sicure; oggi, fra lupi e branchi dal Mendrisiotto alla Valle Bedretto, non c’è più un solo posto sicuro». Non siamo i primi a chiederci come conviverci, questione di cui Cozzi dà una lettura attingendo all’esperienza dei nostri vicini di casa: «Dobbiamo cercare di raccogliere informazioni dalle esperienze fatte da Paesi e Regioni che convivono col lupo da diverso tempo e adattare le strategie da essi usate alle peculiarità delle nostre realtà. Allo stesso tempo, cerchiamo di sviluppare metodi di convivenza alternativi che siano scientificamente validi e replicabili. Esistono i conflitti, ma vanno gestiti con pragmatismo. Dove le misure preventive sono applicate in modo sistematico, le perdite calano e la tensione pure».

La chiave rimane nell’equilibrio fra prevenzione e regolazione: tra attuabili misure di protezione e azioni di controllo, anche di abbattimento, coscienti che la misura è labile: «Nella gestione della convivenza tra attività umane e lupo serve visione, non vendetta». Dunque, il ritorno del lupo ci obbliga a interrogarci non solo su di lui, ma su come vogliamo abitare la montagna. Vogliamo una natura addomesticata, sicura e silenziosa? O siamo pronti a condividere spazi con una fauna selvatica che torna a popolare le valli? La convivenza non sarà sempre facile, ma chiediamoci se è possibile. Secondo Donati, la situazione rimane molto incerta e i problemi reali toccano l’allevamento, il caricamento degli alpi e la produzione casearia: «Gli allevatori mantengono la volontà di trovare soluzioni, anche se difficili da individuare. Alcuni mi raccontano che caricano l’alpe da oltre 50 anni, con passione, ogni giugno. Ma oggi, molti sono al limite della sopportazione, e non si sentono affatto sostenuti: la realtà sul terreno è spesso drammatica». Nel distretto della Valmaggia, che rappresenta circa un quinto del territorio cantonale, oggi rimane un solo alpe caricato a ovini, con appena 40 capi. «Questo è il segno – prosegue Donati – che la convivenza, per come oggi viene proposta, non funziona: sarà forse possibile solo quando tutti gli alpi saranno abbandonati, e non resteranno che i lupi a regolare la fauna selvatica».

Egli cita anche un episodio recente: «All’alpe Robiei, i caprai se ne sono andati: stressati dagli avvistamenti continui, hanno chiesto di scaricare già all’inizio di agosto. Sa cosa significa? È un fallimento. Lo scorso maggio ho dovuto vendere anch’io le mie pecore, dopo cinquant’anni. Una sofferenza grande, non solo per me, ma anche per i miei figli e nipoti: avrebbero voluto dare un’altra estate alle nostre pecore, nel loro ambiente naturale. Ma con quello che sta succedendo in questa stagione alpestre, credo sia stata una scelta inevitabile».

Intanto, pur sempre rispettoso e cosciente delle difficoltà emerse, Cozzi interpreta la presenza del lupo nella ricerca di un equilibrio: «La convivenza non sarà sempre facile, ma è possibile». Una coabitazione che rimane una sfida in una natura complessa, con equilibri non sempre comprensibili.